venerdì 9 aprile 2010

Il soldato italiano





Negli anni '90 il mondo scopre il valore del soldato italiano

Da quando circa venti anni orsono – ai primi degli anni ottanta – il Governo italiano decise di impiegare un contingente dell’Esercito in Libano in missione di pace, si può dire che sia stata fatta molta strada in questo senso. Fino ad allora le Forze armate italiane avevano fornito un contributo alla distensione solo con piccoli numeri di ufficiali osservatori dell’Onu e altre missioni di scarsa rilevanza in ambito mondiale.

Da allora in poi, superate le diffidenze degli eserciti "guerrieri" occidentali (Regno Unito, Stati Uniti, Francia) la credibilità del soldato italiano – quello di "Tutti a casa" per intenderci – è cresciuta nella considerazione internazionale lasciandosi alle spalle l’immagine iconografica del bravo figlio di mamma amante più di pizza, spaghetti e donne che non del proiettile calibro 7,62 del fucile d’ordinanza.

A questa crescita hanno contribuito in modo determinante gli eventi del novembre 1989 (Caduta del muro di Berlino) e le sue conseguenze. Tra queste, il nuovo concetto strategico dell’Alleanza atlantica, necessaria risposta occidentale agli avvenimenti che coinvolsero il Centro e l’Est europeo. Con la nuova strategia della Nato, agli eserciti alleati venivano assegnati nuovi compiti, tra cui quello che più si è attagliato alla natura del soldato italiano: il mantenimento della pace.

A questo punto, forse è bene precisare al lettore che l’impiego del termine "soldato" è un’esigenza di sintesi e il suo significato si estende a tutti gli ufficiali, sottufficiali e militari di truppa dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. E’ negli anni novanta che l’immagine delle Forze Armate italiane ha ricevuto l’impulso più significativo nella direzione della credibilità mondiale. La Somalia, il Kurdistan, la Bosnia hanno sempre visto impiegati tra i primi i nostri soldati e sempre in prima linea.

Riteniamo, tuttavia, che il culmine sia stato raggiunto in occasione dell’operazione "Alba", prima - e unica fino ad ora – operazione multinazionale pianificata dai nostri Stati maggiori e condotta da un generale italiano. Perfino l’autorevole New York Times, che all’inizio aveva criticato fortemente la Forza Multinazionale di Protezione, pubblicando un articolo che accusava i soldati di comportarsi come dei "boy scout", si dovette ricredere riconoscendo che il successo dell’operazione era dovuto proprio alla impostazione datale dalla leadership italiana.

Oggi i soldati italiani sono in Albania, Algeria, Bosnia, Congo, Croazia, Egitto, Guatemala, India, Irak, Israele, Kossovo, Kuwait, Libano, Marocco, Pakistan, Siria. L’Aeronautica militare italiana, in Kossovo, ha costruito dal nulla un aeroporto a Djakovica e ne ha il controllo; dal 1° luglio ha anche il controllo dell’aeroporto internazionale di Pristina. Nel mese di ottobre , il comando delle truppe della KFOR sarà assunto da un generale a tre stelle italiano. Oltre settemila uomini, tutti rispettati proprio per quel loro modo di essere soldati.

Elmetto, giubbotto antiproiettile, arma carica, soldati che pattugliano le zone più impervie, che aprono al fuoco se necessario, ma che sanno anche come si fa a prendere un bimbo in braccio o accudire un vecchio. Soldati che sanno maneggiare le armi ma che le sanno impiegare per lo scopo più nobile: la Pace. E’ difficile oggi trovare un soldato che non abbia svolto almeno una missione all’estero. Oggi i soldati italiani non sono più "tutti a casa".


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