lunedì 2 dicembre 2013

Liberiamo l’Italia?


 

di Andrea Viola
Ho sempre la stessa domanda che mi frulla per la testa. E sono convinto che anche a voi sarà capitato di chiedervi la stessa cosa. Cosa si può fare di concreto per metter fine alla deriva del nostro Paese?Quante chiacchiere al vento, quante trasmissioni politiche che ripetono sempre le stesse cose, quante volte le stesse facce dei politicanti che fanno finta di interessarsi ai problemi dei cittadini. Quanto tempo perso, quanti nostri sacrifici gettati in mare, quanti soldi pubblici usati per interessi privati, quanti inciuci e quanto squallore.
Tanta stanchezza, tanta sfiducia nelle istituzioni e nella politica, pochi buoni esempi da seguire, poca giustizia e poca riconoscenza del merito. Continuare così, senza un qualcosa che possa cambiare radicalmente i fatti e questa situazione, è veramente deprimente e impensabile.
Pensiamo che a noi non riguardi e aspettiamo sempre il salvatore della patria. Le cose da sole non miglioreranno. Anzi continuano sempre in peggio. È chiaro che i vecchi politicanti pensano solo a auto riciclarsi e a salvarsi sempre. E loro ci riescono, se ne fregano di tutto e pensano alle loro comode e care poltrone.
Ormai i due più grandi partiti giocano alle larghe intese e a non fare nulla di utile per il paese. L’unico tormentone è salvare Silvio Berlusconi. E qui la rima ci starebbe proprio.
Vedi quello che accade in Parlamento e al Governo e pensi sempre la stessa cosa. Ma è possibile che certe persone ci debbano rappresentare?
Vedi che una Commissione importante come quella Antimafia ancora non lavora perché non riescono a trovare un Presidente da febbraio. Vedi certi membri e ti sembra che più che commissione antimafia sia la commissione pro-mafia.
Tutto è l’opposto di quello che dovrebbe essere. E noi che facciamo? Cosa vogliamo fare di civile per manifestare il nostro reale disappunto? Le proteste violente non servono. Servono solo a loro per giocare al vittimismo e alla repressione. Serve un qualcosa di utile, deciso e concreto. Qualcosa che smuova realmente le cose. O ci piace piangersi addosso e aspettare di arrivare alla fame completa?
E per farlo bisogna mettersi d’accordo. Agire pacificamente con un’idea chiara. L’unica cosa che bisogna decidere è questo.
Vogliamo cambiare le cose o vogliamo continuare a odiare la politica e tutto il suo mondo senza fare nulla? La politica o la fai o la subisci. È semplice. Chiedetevi perché a livello nazionale non c’è un quorum da raggiungere per la validità delle elezioni. Mentre a livello locale se in un comune non va il 50% più uno a votare le elezioni non sono valide.
Bisogna agire civilmente ma agire. Una soluzione potrebbe essere uno sciopero generale ad oltranza con presidio fisso a Roma. Ma dovrebbe essere fatto da tutti indistintamente. Bloccare tutto civilmente, ovviamente garantendo i servizi minimi. Questo potrebbe obbligare il Governo a prendere decisioni vere e nell’esclusivo interesse del Paese. Altre soluzioni dovrebbero essere pensate. Ma qualcosa di rispettoso e deciso deve essere fatto. In democrazia esiste il diritto sacrosanto e costituzionalmente garantito di farsi sentire e di protestare. Ma la protesta oltre che civile deve essere incisiva.
Dovrebbe essere una festa di liberazione e di civiltà. Un popolo che condivide la voglia di cambiare e di farsi sentire. Per una volta tutti insieme.
Forse è solo un sogno e un’utopia. Ma prima o poi qualcosa di civile dovremmo fare. Altrimenti continueremo ad essere spettatori della stesso film.
 

PER FAR TREMARE L’EUROPA



IL 9 DICEMBRE SI BLOCCA L’ITALIA

Una pagina Facebook con più di centoventimila aderenti, un evento organizzato che per ora ne conta diciottomila e un sito web per chiamare gli italiani alla protesta. Sono gli italiani auto organizzatisi per rivendicare tra le altre cose, la sovranità popolare e monetaria, contro questo modello di Europa ed un governo di nominati. L’intenzione è quella di fermare in ogni città la circolazione, i trasporti e le attività produttive il 9 dicembre 2013,  organizzando a Roma, una catena umana intorno al Parlamento. Sul sito del movimento che si è organizzato con coordinamenti in ogni regione e capoluogo di provincia, tocca a Lucio Chiavegato e Danilo Calvani spiegare le ragioni del 9 dicembre: “sono anni che ci chiedono sacrifici, sono anni che le banche truffano le aziende e le famiglie e nessuna inversione di tendenza è stata fatta. Questo è significativo per dire che lo stato non c’è più ma esiste una sola kasta fatta di politici, banchieri, giudici, industriali, centri di potere che vogliono la nostra morte. Non possiamo più tollerare la repressione che viene fatta dalle forze di stato che, nascoste da leggi ipocrite non permettono alla gente di lavorare e di produrre. Leggi inapplicabili che fanno fuggire le aziende all’estero o fatte fallire. Leggi fatte apposta per coprire inutili posti di burocrati strapagati mentre la gente non ha un reddito. Una spesa statale che ha raggiunto livelli scandalosi e che nessuno vuole tagliare perché vorrebbe dire colpire i lor ostessi amici, parenti e leccapiedi pagati per produrre nulla , anzi per fare danni ulteriori. Ora le cose devono cambiare. Qualcuno ha detto: bloccherete il Paese. No. Il Paese è già bloccato. Questa è un’operazione per sbloccare il Paese. ” Tra le sigle aderenti, torna alla ribalta il movimento dei Forconi.

“L’Italia si ferma”



il nove dicembre la manifestazione nazionale del dissenso

Sarà un 9 dicembre che entrerà nella storia quello che vedrà compiersi una delle più ambiziose proteste dell’ultimo secolo: “L’Italia si ferma”.

Dal web viaggia senza freni l’informazione su un insieme di attività che sta vedendo aderire giorno per giorno sempre più realtà nazionali per protestare contro temi sempre più cari alla cittadinanza quali “la corruzione della classe politica, la collusione con la mafia, lo sperpero di denaro pubblico, la distruzione del territorio, la distruzione della grande capacità produttiva e lavorativa, le aziende che falliscono o che fuggono in altri paesi dove lavorare non è reato” perché “ormai l’Italia è il paese adatto solo a chi viene a delinquere o a farsi mantenere dal nostro lavoro”.
Denunce forti che denunciano “l’arrivo al capolinea di questa politica con una Nazione ormai prossima al fallimento”.
Decine le realtà aderenti all’evento che si consumerà in decine di piazze d’Italia incarnando uno dei messaggi introduttivi più incalzanti: “Per tutti quelli che, come me, hanno sempre pensato di voler fare qualcosa per cambiare l’attuale situazione economica e sociale in Italia ma non hanno mai avuto l’occasione per fare qualcosa di concreto. Questa manifestazione è importante perché non è, come tutte fino ad ora, organizzata da un qualche partito per prendersi voti alle spese di un altro; qui non c’è nessun partito ne movimento politico, qui si tratta solamente del popolo che è stanco di essere preso in giro e vuole dire “Basta”. Questa è la nostra occasione per far vedere che ci siamo, che siamo in tanti e che non possono fare nulla per impedire il risveglio della popolazione. Nei prossimi giorni verranno pubblicate ulteriori informazioni su quest’evento, intanto, fin da ora, è nostro obbligo morale il divulgare il più possibile”.
Insomma, gli spunti ci sono tutti per creare qualcosa di diverso, che parta dal basso e a partire dalla mezzanotte del 9 dicembre, dalla Sicilia al Veneto, avrà inizio una protesta, con presidi e blocchi stradali su iniziativa di diverse associazioni di piccoli imprenditori, del settore agricolo e dell’autotrasporto: uomini di categorie produttive così diverse, dagli agricoltori agli autotrasportatori, falcidiati dal peso della crisi e dalle politiche di austerità, che hanno deciso di smettere di stare a guardare, di unire le forze per innescare una scintilla e mobilitare i cittadini.
Da questa spinta è stato costituito un Coordinamento Nazionale di cui fanno parte, i Forconi, i Comitati riuniti agricoli, i Liberi Imprenditori Federalisti Europei, le associazioni degli autotrasportatori, Azione rurale Veneto, i comitati dei produttori di latte e degli allevatori.
I gruppi si sono organizzati fa face book … adesso spazio alla comunicazione e alle adesioni. Che farà il Molise?

 

Quelli che vogliono bloccare l’Italia



il 9 dicembre

di Stefania Carboni - In rete si lancia uno stop dei traportatori e diverse categorie. Tra gli aderenti rispunta il Movimento dei Forconi 

 ndignados di tutti gli indignados a rapporto: l‘Italia si ferma il 9 dicembre. A deciderlo il Movimento Forconi, Movimento autonomo autotrasportatori, Co.Spa e tanti altri che hanno lanciato l’iniziativa su Facebook. «Ci hanno accompagnati alla fame, hanno distrutto l’identità di un paese, hanno annientato il futuro di intere generazioni…», inizia così il manifesto che annuncia l’iniziativa e che finisce con «aundo un governo non fa ciò che vuole il popolo va cacciato con mazze e pietre».

9 dicembre
OKKUPIAMO TUTTO!1!!! - «Bloccare tutti i valichi di frontiera, porti, aeroporti, pompe di benzina, raffinerie, panifici, rivendite di bombole tutte le strade e autostrade, lasciare passare esclusivamente le ambulanze e non creare disagio negli ospedali. Portiamo con noi le nostre famiglie, bisogna andare avanti in oltranza fino a quando non usciranno dai palazzi con le mani in alto!!!», propone Massimiliano. La bacheca dell’evento è piena di suggerimenti e domande: «Scusate l’intrusione. Bloccare le strade? Gli aereoporti? Non interessa a nessuno. Solo a chi si dà noia, così come da darebbe una zanzara, provocando ritardi o problemi ai concittadini, e poi? Fatto mille volte. Risultato zero. Io resto dell’ idea che l’ unico modo per convincere il nostro governo a ragionare, sia stringere i cordoni della borsa», chiede Eva. Mentre invece c’è chi vuole semplicemente capire che razza di coordinamento ci sia:
FERMI AD OLTRANZA - I gruppi più attivi? In Sardegna, dove si parla già di coordinamenti a Cagliari ed in vari punti dell’isola. Qui la pagina dedicata alla protesta isolana. Certo che per bloccare strade e città sarebbe meglio agire lungo lo stivale. Bloccando porti e strade sarde si potrebbe correre il rischio di limitare la circolazione merci in una situazione già critica sul territorio sardo nel post-alluvione. I manifestanti parlano di sciopero ad oltranza. Qui Danilo Calvani, un esponente dei Comitati Riuniti Agricoli spiega in un video:
SE QUESTO E’ L’INIZIO – «Le donne le nostre donne stanno facendo la rivoluzione. La stanno gestendo loro», precisa. Intanto a Roma si continuano ancora a chiedere informazioni. «Si possono avere indicazioni chiare su dove ci saranno i presidi!?! È importante sapere dove dirigersi e avere indicazioni chiare», chiede Igor, mentre Orsola precisa: «Non vedo da nessuna parte ancora a 2 settimane dal 9 dicembre, nè orario, nè luogo di partenza. Ieri vi siete riuniti a torre maura? tra l’altro, avevo chiesto indirizzo esatto per potervi raggiungere, il quale non è stato evidenziato in maniera inconfutabile a prova di cieco, e che solo ora, ho “trovato” tra i vs commenti di uno dei tanti post, scorrendo in fondo in fondo. Scusate ma credo che dobbiate dare informazioni trasparenti e dettagliate e, magari rispondere anche a chi voleva raggiungervi ieri». Intanto in rete grirano già video promo con un certo appeal. Questo è l’invito dedicato alle forze dell’ordine. Con tanto di voce commossa finale:
qui invece quello in stile trailer:
FATE IL CARICO RAGA – No all’euro, contro il far west della globalizzazione, contro questo “modello” di Europa e cacciando i tiranni di queste istituzioni, il 9 si agirà in nome “del popolo sovrano”. L’ultima raccomandazione la lancia Patrizia sulla pagina romana: «Per evitare che i MEDIA Demonizzino i Manifestanti e coloro che bloccano le arterie stradali, FATE TUTTI RIFORNIMENTO di carburanti, alimentari ed ogni cosa, perché il BLOCCO per essere efficace deve durare minimo 3 settimane! I MEDIA ci faranno». Vi ricordate il Movimento Forconi e cosa portò? Cosa chiede il manifesto del 9 dicembre ancora esattamente non si sa. Una volta bloccate strade e rifornimento verso market e grossisti cosa si chiederà? «La rivoluzione, a cui porta una resistenza, è un cambiamento repentino. E ci possono esser mille diverse rivoluzioni, ma quella vera è la rivoluzione della mente delle persone e del proprio modo di pensare, quella rivoluzione che porta, fondamentalmente, alla vera EVOLUZIONE», si legge sull’evento nazionale che conta oltre duemila iscritti. Chiaro no?

 

Le continue prese in giro dei politici

La solita Italia e i soliti politici. Bisogna stare attenti a cosa i politici vogliono farci credere. Ora dicono che non ci sono le coperture per Iva, Imu, Costo del lavoro. Tutte cavolate le coperture se vogliono ci sono.
Cominciamo con ordine.
Il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, ha dichiarato che l’Italia deve puntare a detassare il costo del lavoro e spostare tutta la tassazione su consumi e proprietà. La più grande cavolata che un politico potesse dire; è vero bisogna detassare il costo del lavoro, ma non bisogna rifarsi sui consumi e sulle proprietà. Se si aumenta la tassazione dei consumi, che è già molto alta, questi subiranno un’ulteriore rallentamento, provocando una riduzione della domanda dei beni che a sua volta farà ridurre l’offerta, il che spingerà molte aziende a chiudere e molte persone a rimanere senza lavoro. Illustriamo semplicemente cosa avviene in un circuito economico, le imprese ottengono finanziamenti dalle banche con i quali cominciano la produzione, effettuano investimenti e assumono lavoratori. I lavoratori ricevuto il salario lo utilizzano per i consumi e per il risparmio, che potrà essere trattenuto sotto forma di depositi bancari (utilizzati dalle banche per emettere nuovi finanziamenti) oppure sotto forma di investimenti diversi, essi perciò creano domanda di beni che le aziende soddisfano con l’offerta, esse con il guadagno ottenuto e con gli investimenti effettuati vanno a rimborsare i finanziamenti delle banche, così si chiude il circuito. I consumi sono alla base dell’economia, come si può pensare di tassarli?

Tornando all’Italia:
l’abolizione dell’Imu è stata una bufala, effettivamente per quest’anno non si pagherà ma sarà sostituita dalla servicetax che altro non è che Imu, tares e servizi comunali messi insieme. In poche parole hanno trasformato l’Imu in tassa e mescolata con altre due. Per quanto riguarda l’aumento dell’Iva dicono che per ora l’aumento è scongiurato ma nel 2014 forse ci sarà, per il costo del lavoro non si è fatto niente, e così anche per la tassazione alle imprese, continuando a dire che non ci sono le coperture. Il problema dell’Italia non sono le coperture che mancano, (infatti siamo il Paese con la tassazione fra le più alte dell’Ue, inoltre le entrate tributarie quest’anno sono aumentate), ma sono gli sprechi e la cattiva gestione della macchina statale. Ricordate Monti diceva che bisognava ridurre il deficit attraverso le imposte? Ma alla fine cosa è successo? E’ successo quello che ho sempre scritto e prospettato nei vari articoli, il deficit si è ridotto, ma la riduzione è durata scarso un anno, infatti adesso stiamo nuovamente in pericolo, mentre il debito pubblico è aumentato. Questo fa capire come Monti è legato ai poteri forti e ha fatto gli interessi loro, e di economia poco ne capisce.
Il governo Letta sta facendo lo stesso o meglio sta rimandando sempre i provvedimenti. Ma perché non dicono la verità?
I soldi si trovano come:
riducendo gli sprechi, cominciando dai costi del governo, con riduzione dei parlamentari, riduzione dei ministeri, riduzione degli stipendi e dei rimborsi, riduzione delle auto blu, eliminazione di tutti i privilegi e di tutte le pensioni d’oro, eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti, eliminazione dei senatori a vita, riduzione del personale delle camere e degli altri palazzi governativi con riduzione anche degli stipendi.
Eliminazione provincie, eliminazione comuni sotto i 10000 abitanti, eliminazione delle consulenze esterne, riduzione stipendi magistrati, manager e dirigenti pubblici e sanitari, maggior controlli e costi standard sulle spese amministrative e sanitarie, sistema pensionistico dei politici uguale a quello dei cittadini, fine dello stato imprenditore e dei politici imprenditori occulti, redistribuzione della ricchezza con la rimodulazione dell’Irpef in modo da colpire i grandi redditi e poi stabilire una ulteriore tassazione sui grandi patrimoni. Con questi provvedimenti si avranno le coperture finanziarie. Poi bisognerà fare ancora molto altro.
Per migliorare l’Italia bisogna cambiare il modo di gestirla, basta ai vecchi volponi e al vecchio modo di far politica che pensa solo a interessi privati e non ai cittadini. I politici lavorano per lo Stato e non lo Stato per loro.

                                                                                                                        Marco Tangredi

Grillo al terzo Vaffa-Day attacca euro e Napolitano

I grillini si ritrovano in Liguria per discutere del futuro dei 5 Stelle e tirare le somme: il comico spiana la strada per le europee del 2014. Sul palco anche Casaleggio: "Orgoglioso di essere populista"
Luca Romano
Dalla richiesta di impeachment per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al referendum sull'euro, dall'abolizione dei rimborsi pubblici È il terzo Vaffa Day organizzato da Beppe Grillo, il primo da quando il Movimento 5 Stelle ha intrapreso il suo cammino parlamentare.
"Da qui deve partire una rivoluzione culturale e politica - ha tuonato il comico - qui a Genova abbiamo inventato tutto. Non è più un sogno, siamo oltre. Dobbiamo andare a scoprire un mondo che c’è già,un mondo diverso fatto di solidarietà. Abbiamo 8 milioni di poveri. Dobbiamo fare pulizia, dobbiamo mandare a casa i politici". E la piazza ha risposto: "Tutti a casa, tutti a casa".
I grillini si ritrovano oggi a Genova, a Piazza della Vittorio, al grido di battaglia di "Oltre". Oltre - spiega il leader dei 5Stelle - perché bisogna "andare al governo e liberarci di questi incapaci predatori che hanno spolpato l'Italia negli ultimi vent'anni". Il capoluogo ligure, dove Grillo ha casa, ha accolto simpatizzanti e parlamentari del Movimento, per un incontro che è anche l'occasione per iniziare a pensare alle Europee di maggio, a cui i 5 Stelle arriveranno con "un programma in 7 punti". Intorno alle 14 il comizio dell'ex comico, che sul palco sarà affiancato da Gianroberto Casaleggio. Proprio il co-fondatore del movimento, sentito da SkyTg24, ha denunciato "una deformazione della realtà" ai danni del Movimento, che ha portato avanti "moltissime proposte" in aula e a livello territoriale, criticando chi li definisce soltanto degli sfascisti.
Beppe Grillo ha detto che "i politici sono vigliacchi" e che i 5 Stelle daranno "loro l'estrema unzione", ribadendo che una "alleanza con gli altri schieramenti" non è in programma.  Dal palco è tornato a parlare contro il capo dello Stato sottolineando di avere "pronto l'impeachment per Napolitano", che ha accusato di avere tradito il Paese. Ha ribadito poi la volontà di promuovere un referendum sull'euro, citando l'esempio di quei Paesi dell'Ue fuori dalla moneta unica, che "vanno abbastanza bene". Subito dopo il comizio di Grillo è intervenuto anche Casaleggio che si è detto "orgoglioso di essere un populista e di essere insieme a decine di migliaia di populisti". "Il potere deve tornare al popolo, le persone nelle istituzioni devono servire il popolo, non possono essere sopra la volontà popolare. Stiamo cercando di introdurre nuovi strumenti di democrazia diretta, in Italia oggi non c’è neppure la democrazia", ha detto il guru degli stellati. Che ha aggiunto: "La democrazie in questo Paese è inesistente, viviamo in un Paese in cui i referendum non vengono accolti, vengono deviati, il loro significato viene annullato, abbiamo delle leggi popolari che non vengono discusse in parlamento, non possiamo decidere i nostri deputati e senatori". Secondo Casaleggio, infatti, la partitocrazia deve finire con i nuovi strumenti di partecipazione popolare: "Servono referendum non solo abrogativi ma anche propositivi, dobbiamo avere la possibilità di discutere le nostre leggi, di discuterle con i nostri parlamentari che mandiamo in parlamento non con i segretari dei partiti".

Carabinieri contro governo: “Servono soldi”



È un vero e proprio ultimatum quello lanciato dai carabinieri al Governo dopo l’annuncio del taglio dei fondi destinati alla sicurezza. Servitori di uno Stato che prima stanzia fondi per 50 milioni di euro per l’assunzione di personale nelle forze armate, di polizia e nei vigili del fuoco e poi fa marcia indietro perché costretto a far fronte alla mancanza di entrate dovuta all’abolizione dell’Imu. È il Cocer (Comitato centrale di rappresentanza), una sorta di sindacato degli appartenenti all’Arma, a sfogare prima tutta la rabbia: “Adesso diciamo basta e, stavolta, lo diciamo con forza”.
A scatenare la bufera è stato l’incontro di ieri tra i rappresentanti del comparto sicurezza e il ministro della Funzione Pubblica, Gianpiero D’Alia. Un confronto secondo il Cocer “inconcludente”. “Basta con le elemosine – hanno spiegato i militari in un comunicato – basta con l’una tantum su avanzamenti di grado e assegni di funzione”: per il Cocer il Governo deve provvedere “urgentemente a reperire i necessari fondi, facendo, magari, economia sui ben noti scandalosi sprechi della pubblica amministrazione e sulle vergognose prebende delle varie caste”. Uno scontro vero e proprio, insomma. Senza mezzi termini. Anzi. “Accusiamo le istituzioni – rilanciano infatti i carabinieri – anche di costringerci ad alzare i toni della protesta, facendoci venir meno, nostro malgrado, alla peculiare, secolare compostezza degli uomini dell’Arma”. Non solo.
I militari parlano di “colpevole indifferenza” delle istituzioni che solo un atteggiamento nuovo e forte come questa protesta può smuovere perché “sono anni che questo organismo si fa interprete, inascoltato, del sempre crescente disagio di un intero comparto, sempre più penalizzato da dissennate politiche di tagli, praticate nella bieca, cinica, vergognosa considerazione che, in quanto militari, non ci è permesso di praticare più adeguate forme di protesta per far sentire la nostra voce”.
Una situazione di estrema stanchezza quella denunciata dai rappresentanti dei militari che da tempo hanno sollevato le diverse problematiche che riguardano i carabinieri. Una situazione iniziata con il blocco degli aumenti con il decreto “salva Italia” sul quale il prossimo 5 novembre si dovrà esprimere la Corte costituzionale. Un blocco prolungato fino al 2014 che costringe gli esponenti del comparto sicurezza-difesa a ricoprire incarichi di responsabilità con stipendi inferiori a 2mila euro. Il Governo, infatti, nel 2010 ha bloccato gli scatti di anzianità sui quali in tanti contavano per pagare i mutui e sostenere un costo della vita sempre in aumento.
Ma i tagli non riguardano solo gli stipendi. Il rischio della mancanza di assunzione di personale è che si arrivi ad avere sempre meno uomini per le strade e soprattutto personale sempre più anziano. Le parole dell’insediamento del presidente del Consiglio Enrico Letta avevano acceso una speranza quando aveva parlato dei risultati ottenuti contro la criminalità organizzata “presente anche nel resto del Paese” e che “in larghe parti del Mezzogiorno ha i connotati del controllo arrogante e quasi militare del territorio. E questo nonostante lo spirito di servizio e il sacrificio di tanti servitori dello Stato – magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine anzitutto – che troppo spesso abbiamo avuto la responsabilità di lasciare soli. Anche per questo dobbiamo dare effettiva concretezza al valore della specificità della professione svolta dal personale in divisa delle Forze Armate e della Polizia”. Parole che oggi per molti sono solo l’ennesima illusione. Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it

Il Governo non sa che fare, la sua maggioranza meno


 

Contorni mollicci, fisionomia mutevole e troppe clausole di salvaguardia: la stabilità si trasforma in immobilismo  
Davide Giacalone
Il problema della legge di stabilità non sono le centinaia di emendamenti, perché tanto la partita potrà concludersi in modo tradizionale, con un mostruoso maxi emendamento governativo. E, del resto, finché esiste l’emendabilità è ovvio che si presentino emendamenti, mentre per conquistarne l’immodificabilità, come a Londra, si deve cambiare la Costituzione. Il problema di quella legge è il suo essere di pongo, i suoi contorni mollicci, la sua fisionomia che cambia a seconda del ministro che parla, il suo poggiarsi pressoché esclusivamente sulle clausole di salvaguardia, vale a dire su aggiustamenti automatici successivi. Il paradosso di questo governo, che viene descritto come senza alternative e che potremmo chiamare “Enrichino sempre in piedi”, è di essere già da un pezzo in crisi, ma non poterne prendere atto. Per fare le cose che servono all’Italia occorre un governo stabile, ma per rendere stabile questo governo occorre non fare nulla.

Il governo è già in crisi perché il centro destra ripete che solo non aumentando la pressione fiscale può andare avanti, e le tasse, invece, aumentano. E’ in crisi perché nel centro sinistra se ne mette in dubbio la composizione stessa, con Matteo Renzi che chiede le dimissioni di Annamaria Cancellieri. E’ in crisi perché financo il caos di Scelta Civica pretende che si basi su un patto programmatico di legislatura, che non si vede manco con il binocolo. Però dondola e non cade, tal quale il pupazzo gonfiato e con l’acqua alla base, che ne abbassa il baricentro. Non cade perché il Quirinale lo tiene in piedi ostruendo l’unica alternativa sensata: le elezioni. E più passa il tempo più quell’uscita di sicurezza diventa a sua volta costosa e rischiosa.

Così succedono cose destinate a produrre nuovi guasti. I due partiti grossi sono insanabilmente divisi, ma non sanno come gestire la faccenda. Il Partito democratico s’è buttato in un toboga ove si viaggia felici chiamando al voto per la segreteria i non iscritti (che già da sé, questa è una corbelleria galattica), salvo avere l’apparato che desta il risultato annunciato. Ha ragione Maurizio Belpietro a osservare che con Renzi, oggi, ci sono gli apparatčik della vecchia nomenclatura comunista, ma il dato è ancora più curioso: sono quelli sconfitti e marginalizzati dai loro stessi compagni. Il Popolo delle libertà, o Forza Italia, o come diavolo si chiama ora, del resto, non sa nemmeno come contarsi, né saprebbe cosa farsene del risultato del conteggio. Gente cresciuta e pasciuta a “come ha giustamente detto il presidente” non ha gli strumenti per navigare senza il presidente alla regia. Da una parte e dall’altra hanno in comune due condizioni: a. se si contano e se decidono dopo dieci secondi si spaccano; b. quelli che stanno al governo non hanno i voti e quelli che hanno i voti non sanno che governo fare.

Silvio Berlusconi pare stia selezionando i capaci e i competenti. Evidentemente perché incapaci e incompetenti hanno già dato quel che potevano. Renzi cerca idee anche via Twitter, per poi sottoporle al processo di omogenizzazione, a esito del quale divengono parole rimbalzanti, spesso accattivanti, talora bischerate vaganti. Alla fine tutti sperano che san Silvio faccia la grazia, consistente nel non riceverla e liberare tutti dall’incantesimo, aprendo la crisi sul terreno più scosceso, che indurrebbe il Colle a riprendere in considerazione l’ipotesi delle elezioni. Per liquefarlo.

Nel frattempo la cornice costituzionale va in pezzi. Vedo che nessuno reagisce ai ripetuti annunci dei governanti, fatti anche sulla stampa internazionale, circa la fissazione al 2015 delle elezioni anticipate. Un tempo sarebbe giunto un richiamo dal Colle: c’è ancora la Costituzione, tenetelo presente. E vedo che un velo pietoso ha coperto d’oblio la riunione di maggioranza convocata al Quirinale, per mettere a punto la riforma del sistema elettorale. Riunione che avrebbe avuto un senso se il giorno dopo un testo condiviso fosse apparso sulla scena.

La democrazia rappresentativa funziona solo con i partiti politici. Noi continuiamo a raccontare la favola che si possa andare avanti con i politici partiti, e non pervenuti. Potremmo anche prenderla con rassegnato disinteresse, se non fosse che, in questo modo, si stroncano le gambe a un sistema economico e produttivo la cui forza è apprezzata e temuta nel mondo, disprezzata e ignorata in casa. Una cosa, però, m’incuriosisce, anche perché trascurata: è stato fissato il compenso per Carlo Cottarelli, nuovo commissario ai tagli della spesa (i predecessori tagliarono la corda), sicché sappiamo che egli ci rimetterà dei soldi, guadagnando meno di quel che prendeva a Washington; ma sappiamo anche che il suo contratto non cade con il governo, durando tre anni. Perché un uomo che ci rimette vuole per forza farlo a lungo? Se il suo incarico fosse funzionale al governo di “Enrichetto sempre in piedi” si capirebbe il patriottico impoverimento, ma non la durata oltre l’orizzonte che il governo stesso fissa per sé. Mettiamola così: certo non la funzione istituzionale, ma forse già le competenze e i legami del Fondo monetario internazionale sono all’opera.

L’Europa al capolinea?


 

Il sogno europeo è ormai una semplice illusione? L’individualismo della Germania e l’Europa anello debole del nuovo ordine mondiale. Oltre la retorica dell’europeismo.

Forse la crisi economica non sarà solo un tornante della storia dell’integrazione europea, ma la sua definitiva pietra tombale. Una chiave interpretativa di questo genere appare forse pessimistica, ma è innegabile che l’impostazione data al precedente modello di integrazione avesse delle debolezze strutturali che hanno indotto a degli errori gravi con conseguenze catastrofiche sull’economia reale, come dimostra la crisi greca. Chi pensa che la nascita del fondo lanciato il mese scorso per salvare i debiti sovrani assicuri il lieto fine a quella che appariva davvero una “tragedia greca” si sbaglia e di grosso. Lo dimostrano le conseguenze sui mercati finanziari e le scelte politiche degli stati membri che ne sono scaturite:
1) In queste ultime settimane il cambio dell’euro sul dollaro ha registrato una brusca discesa, dato di per sé affatto negativo (favorirà le esportazioni), ma che potrebbe risultare da freno alla crescita qualora il prezzo delle materie prime diventasse troppo caro.
2) I governi europei appartenenti all’area euro hanno annunciato gravi manovre per riassestare le finanze pubbliche, scaricando sui cittadini i costi sobbarcati per salvare banche e imprese sull’orlo dello sfascio negli ultimi due anni. In tal senso si avvera pienamente la profezia di Nouriel Roubini, Mr. Doom, che aveva profetizzato tre anni fa la “crisi perfetta”.
3) I paesi che ancora non sono all’interno dell’area euro rallentano la loro marcia verso l’adesione alla moneta unica per l’incapacità di soddisfare le condizioni imposte da Francoforte o per opportunità politica (la Polonia, soltanto lontanamente sfiorata dalla recessione, ha posticipato di due anni il suo ingresso nella moneta unica). Per onor di cronaca, l’Estonia entrerà nella moneta unica il prossimo anno, in controtendenza, ma per il piccolo stato baltico è una scelta obbligata, visto il suo stretto legame economico con la Germania. Per gli estoni la decrescita ha significato un raffreddamento, l’inflazione e quindi la possibilità di soddisfare le condizioni di adesione.
Perché si è arrivati a questa situazione? Le ragioni sono principalmente due: scarsa governance economica e lassismo nei controlli sulla stabilità delle finanze pubbliche. Il Patto di Stabilità e Crescita, ideato come precondizione dell’Euro e fatto saltare in tempo di vacche grasse da Germania e Francia nel 2003 per poter gestire allegramente la spesa pubblica, ha fallito su entrambi i fronti. Alla luce della crisi economica, non solo non si sono istituiti gli strumenti per coordinare gli investimenti della spesa pubblica in funzione di crescita e sviluppo (ad esempio finanziando le reti trans europee o il bilancio comunitario con dei titoli di debito pubblico europeo o con un prelievo fiscale diretto), ma si è permesso agli stati di far esplodere i debiti pubblici senza alcun coordinamento.
La politica delle “briglie sciolte” autorizzata suo malgrado dalla Commissione soltanto un anno fa, ha fatto esplodere il debito pubblico britannico e francese (per non parlare di Grecia, Portogallo o Spagna) e offerto la possibilità a quello italiano, peraltro già gigantesco, di tornare a salire. Risultato: ecco tornati fuori i Pigs, ovvero i quattro paesi da villaggio vacanze del Club Med (Portogallo, Italia, Spagna e Grecia) buoni soltanto per essere descritti come “bordello”.
La Germania è certamente anch’essa colpevole per questa situazione. La Merkel ha dimostrato un insensato egoismo nell’aspettare sino all’ultimo a salvare la Grecia per ragioni di convenienza elettorale e poi ha varato una manovra che scaricherà sui partner europei i costi della ripresa. Come ben evidenziato da Luigi Zingales, la manovra tedesca rappresenta il consolidamento della strategia “ognun-per-sé” o “si-salvi-chi-può”, perché la Germania, unico paese che poteva spendere (o mantenere la spesa inalterata) e rilanciare l’affannosa ripresa europea, ha preferito attuare una strategia individualista di riduzione della spesa, che le garantirà un vantaggio comparato nei confronti degli altri paesi europei, ma che porterà, attraverso la deflazione, ad un enorme incremento del costo dei risanamenti altrui, rinfocolando i dubbi sui debiti sovrani dei paesi mediterranee.
Se non c’è alcun coordinamento della strategia economica, un allineamento delle politiche fiscali, un comune percorso di ammodernamento del comparto industriale e tecnologico, quale senso ha condividere la moneta? Se questa è l’Europa, meglio auspicare il ritorno alle valute nazionali. Perché, dovendo attuare la strategia “ognun-per-sé”, molto meglio che ciascun paese possa disporre di tutti gli strumenti - compresa la politica monetaria - per impostare la sua propria strategia economica, libero da vincoli ed inutili orpelli.
Le soluzioni per uscirne però esistono. Di governance economica ne parlano un po’ tutti e a sorpresa il nostro Mr. Wolf Van Rompuy, a capo di una task force sul tema, lo ripete come un mantra in ogni suo discorso. A suo avviso il fondo salva-debiti potrebbe anche aumentare. C’è chi propone che la Banca centrale compri il debito sovrano. C’è chi auspica che i mercati possano comprare debito emesso dalla Banca Centrale. Se si arrivasse alla creazione di un meccanismo stile Fmi all’interno dell’Ue senza toccare i trattati (argomento tornato ad essere un tabù), sarebbe la quadratura del cerchio.
E per chi sgarra? L’idea è di permettere alla Commissione di verificare i dati sottoposti dagli stati incrociandoli con quelli di Eurostat, magari con l’ausilio della Corte dei Conti europea. In questo modo si eviterebbero nuovi imbroglioni dei bilanci. C’è chi suggerisce di rafforzare l’agenzia europea sul controllo dei mercati (la neonata Consob europea) con poteri di rating alternativi a quelli delle agenzie americane che hanno giocato a diffondere il panico sui debiti europei.
In un mondo che riprende a crescere, in cui i paesi in via di sviluppo ritornano a correre, e le “nuove” potenze stanno emergendo ad una velocità impressionante, l’Europa è la vittima sacrificale, l’anello debole del nuovo, confuso ordine mondiale. Lo è sotto molteplici punti di vista. Da un punto di vista puramente geopolitico, l’assenza di una politica di sicurezza, con una strategia condivisa, si fa pesante. L’assenza di un esercito, di una condivisione delle tecnologie militari, può far aspirare tutt’al più ad un Europa in formato “grande Svizzera”. Sotto un profilo politico, la frammentazione tanto a livello comunitario, quanto a livello degli stati nazionali (proprio in questi giorni l’Olanda si è aggiunta alla lista dei paesi praticamente ingovernabili per frammentarietà) rende davvero difficoltosa la governabilità del vecchio continente.
Tutto questo però non basterà senza un nuovo modello di crescita. Una nuova visione del sogno europeo che riparta dalle ceneri di Spinelli, che vada oltre alla retorica dell’europeismo offrendo un modello alternativo di crescita basato su sviluppo sostenibile e digitalizzazione tecnologica. Un modello che aggiorni drasticamente il vecchio sistema di welfare all’integrazione degli immigrati, all’invecchiamento della popolazione e al protagonismo delle donne nella società. Nei fatti un modello che possa competere con il mito americano ormai sbiadito, ma ancor più con l’arrembante e inarrestabile ascesa dei paesi Bric per i quali la recessione non è altro che un rumore di sottofondo.
(A cura di Fabio Mineo e Matteo Minchio)