giovedì 21 novembre 2013

Afghanistan


 


ultimo round per l’accordo militare con gli USA

Il segretario di Stato Usa John Kerry è giunto a Kabul per colloqui con il presidente afghano Hamid Karzai.. La visita non era stata annunciata e arriva a pochi giorni dalla ‘deadline’ del 31 ottobre posta da Barack Obama per chiudere i negoziati sull’accordo bilaterale sulla sicurezza per il dopo 2014. L’intesa, nota come Bsa (Bilateral Security Agreement), serve per definire la natura della presenza militare statunitense in Afghanistan dopo il prossimo anno. L’accordo bilaterale, in fase di negoziazione, tra Afghanistan e Stati Uniti sulla sicurezza sta mettendo a dura prova la pazienza di Washington. Lo scorso giugno Barack Obama ha dato il 31 ottobre come ‘deadline’ per la chiusura dell’intesa. Nel caso non dovesse essere definita, la ‘minaccia’ è che gli Usa sarebbero pronti a ritirare tutte le truppe alla fine del prossimo anno. Il presidente afghano Hamid Karzai, che nel 2014 lascerà la presidenza, ha già risposto che Kabul ”non ha fretta” e ha annunciato che intende convocare una Loya Jirga, una ‘grande assemblea’, per discutere dell’intesa.
Con l’avvicinarsi della ‘deadline’ e il persistere delle divergenze, la Casa Bianca appare sempre più intenzionata ad abbandonare il progetto di una costosa partnership a lungo termine con l’Afghanistan. Nonostante gli appelli alla pazienza del Pentagono, la maggior parte dell’amministrazione è stanca di Karzai, al potere di fatto dal 2001, e considera l’Afghanistan sempre meno una priorità rispetto ad altri dossier. “Il 31 ottobre è il nostro obiettivo – ha detto un funzionario di alto livello dell’amministrazione di Washington – Il presidente è stato chiaro”. E, ha aggiunto, l’unica ragione per far saltare l’accordo può essere “il fatto che gli afghani non vogliano quel che stiamo offrendo”. I negoziati sul Bsa (Bilateral Security Agreement) sono iniziati lo scorso anno. Su alcuni punti è stato raggiunto l’accordo, ma sul tavolo ci sono ancora diverse questioni spinose. Tra le condizioni poste da Kabul, secondo la stampa afghana, la stabilizzazione dell’Afghanistan, l’equipaggiamento delle forze di sicurezza afghane e il rafforzamento dell’economia. Durante i colloqui Karzai ha anche manifestato preoccupazione per le vittime civili dei raid aerei Usa. Un oggetto del contendere resta l’insistenza degli Usa ad avere libertà di condurre operazioni di intelligence e antiterrorismo, mentre Kabul preme per la condivisione delle informazioni d’intelligence. E c’è la richiesta di Karzai di un impegno americano per la difesa del Paese da interventi esterni.
La richiesta va letta in chiave Pakistan.L’accordo Bsa è ritenuto cruciale per l’impegno della comunità internazionale nel finanziamento del governo di Kabul, nel sostegno alle sue forze di sicurezza e per il futuro della presenza delle truppe straniere, non solo statunitensi. La comunità internazionale si è già impegnata a ‘investire’ almeno quattro miliardi di dollari l’anno dopo il 2014 per l’equipaggiamento e l’assistenza alle forze di sicurezza afghane e altri quattro per l’assistenza allo sviluppo. Ma senza l’accordo difficilmente si andrà avanti, anche perché la maggior parte dei fondi sono Usa. Sulla base dell’intesa, gli Usa contano di lasciare i propri militari in Afghanistan – molto probabilmente tra i cinquemila e i diecimila – per l’addestramento e il supporto alle forze di sicurezza locali. Attualmente nel Paese sono dispiegati 52mila soldati americani. Alcune settimane fa a suscitare le ire di Karzai, già infuriato per i negoziati tra gli Usa e i Talebani, è stato il blitz nella provincia di Logar – denunciato da Kabul – in cui le forze Usa hanno preso in custodia un leader dei Talebani pakistani mentre l’intelligence afghana lavorava da mesi per ‘reclutarlo’. Per gli ufficiali afghani il ‘lavoro’ con Latif Mehsud era una delle operazioni più importanti in corso delle forze di sicurezza. Secondo il portavoce di Karzai, Aimal Faizi, dopo mesi di trattative Mehsud aveva acconsentito a incontrare agenti dei servizi afghani (Nds), ma è stato invece preso dagli americani che ”lo hanno portato a Bagram”.
Neanche una parola è arrivata dal Pentagono e dalla Cia, ma due ufficiali americani – coperti da anonimato – hanno confermato che Mehsud e’ sotto la custodia dei militari Usa.- Non solo, ma a far infuriare Karzai c’è anche la vicenda del mullah Abdul Ghani Baradar, ‘numero due’ dei Talebani afghani. Il mullah Baradar era stato liberato il mese scorso dal Pakistan, dopo essere stato catturato nel 2010 quando era probabilmente coinvolto in trattative con il governo afghano. Il mullah Baradar, ritenuto una pedina importante per il processo di riconciliazione in Afghanistan, questa settimana è stato però posto agli arresti domiciliari a Karachi. Karzai ha immediatamente sospettato che dietro la mossa ci fosse lo zampino degli americani. Anche in questo caso, neanche una parola dalla Cia e dal Dipartimento della Difesa. A spiegare il fastidio di Washington per l’atteggiamento di Karzai è un funzionario dell’amministrazione Usa, coperto da anominato, secondo il quale “alcune” delle preoccupazioni espresse da Karzai durante i colloqui per l’accordo Bsa “sono francamente qualcosa tra il frustrante e l’offensivo”. Resta aperta la possibilità che gli Usa debbano discutere dell’intesa con il nuovo presidente afghano che verrà eletto il prossimo aprile. La ‘deadline’ di ottobre è ritenuta cruciale anche per evitare che i negoziati sul Bsa diventino argomento di campagna elettorale in Afghanistan in vista delle presidenziali del 5 aprile. In ogni caso, secondo un funzionario americano, a tutti i dipartimenti Usa con una presenza in Afghanistan è stato chiesto di definire piani per l’eventuale ruolo degli Usa nel Paese in caso non venga concluso il Bsa.
Per il Dipartimento di Stato, la possibile assenza delle truppe americane e di altri contingenti alleati significherebbe la chiusura del consolato a Herat e l’archiviazione dei progetti per l’apertura di sedi diplomatiche a Mazar-e Sharif e Kandahar. Per un alto funzionario della Difesa, invece, gli Usa “stanno pianificando solo opzioni considerando la firma del Bsa”. Il confronto politico con Karzai ha del resto preso una piega sempre peggiore negli ultimi tempi. L’8 ottobre  il presidente afghano ha attaccato duramente la missione militare internazionale. “L’intervento della Nato in Afghanistan ha causato solo sofferenze, molte perdite di vite umane e nessun profitto perché il Paese non è più sicuro di prima” ha detto Karzai alla Bbc. “Quello che volevamo era la sicurezza assoluta e non una guerra contro il terrorismo, perché anche i talebani sono afghani e dovrebbero avere la possibilità di partecipare alle elezioni”.

 

La legge non è uguale per tutti





La scoperta che, dietro la scarcerazione di Giulia Ligresti per “motivi umanitari” ci sia in realtà l’interessamento del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, riporta alla memoria altri episodi di mala giustizia del passato, da parte dei potenti a vantaggio dei loro amici: dalla soffiata da parte dell’allora presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, a Donat Cattin per favorire la fuga del figlio accusato di terrorismo, alla telefonata dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per liberare la famigerata “nipote di Mubarak” dal fermo di polizia.
Ciò che accomuna questi episodi è una concezione di “superiorità alla giustizia” proprio da parte di coloro che, a causa del loro ruolo istituzionale, dovrebbero invece sottomettervisi in maniera ancora più esemplare di quanto non sia richiesto a un normale cittadino. In tutti questi episodi, affiorano interessi privati in atti pubblici: nel caso particolare della signora Cancellieri, una lunga amicizia con la famiglia Ligresti, con torbidi favori finanziari concessi al figlio. Nella fattispecie, una buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un anno di “lavoro” come direttore generale di una holding dei Ligresti.
Come sempre succede in questi casi, il Palazzo fa quadrato attorno ai suoi esponenti. Da un lato, si adducono appunto gravi “incompatibilità” della povera (nel senso di ricca) signora Ligresti al carcere: come se al mondo ci fosse qualcuno che col carcere è compatibile, e non soffra per la detenzione e i suoi effetti. Dall’altro lato, le massime autorità dello Stato, dal presidente della Repubblica a quello del Consiglio, sembrano accettare la scusa del ministro, di aver agito “secondo coscienza”: come se per il ministro del Giustizia la coscienza potesse essere un sostituto della legge e della trasparenza.
La realtà è, molto semplicemente, che la legge non è affatto uguale per tutti, nonostante ciò che sta scritto nei tribunali. Per i potenti, economici o politici, la legge è diversa, e loro la aggirano silenziosamente a piacere. Ma a volte, come in questo caso, il silenzio viene infranto: in tal caso la decenza vorrebbe che, invece di arrampicarsi sui vetri, la signora Ligresti tornasse in cella, come una qualunque pregiudicata sottoposta alla carcerazione preventiva, e la signora Cancellieri tornasse a casa, come un qualunque ministro preso con le mani nel sacco. Anche se, probabilmente, non succederanno né una cosa, né l’altra.

Il trucco della Casta



le eccezioni ai tagli alla politica per far incassare i top manager di Palazzo Chigi. 

A noi tasse e tasse per loro 2 o 3 maxi stipendi. E continuano a dire che stanno facendo il bene degli italiani!?! Come dovrebbe essere il nostro stato d’animo??? Mentre privano i disabili gravi dell'ossigeno!!!???  -  La chiamano spending review, ma quando deve toccare i piani alti dei palazzi del Potere non attacca. Perché il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, guadagna 378mila euro l'anno, sommando al ricco stipendio governativo quello (altrettanto ricco) dell'amministrazione pubblica dalla quale proviene (malgrado sia in aspettativa da 2 anni). Altrettanto guadagna, per lo stesso motivo, Antonio Catricalà, viceministro per lo Sviluppo Economico.
Poi si scopre che i ministri non parlamentari hanno trovato il modo per guadagnare (legittimamente) più del dovuto. Mentre ventisei dirigenti della presidenza del Consiglio guadagnano più di 200mila euro l'anno, e ognuno dei circa cento dirigenti di prima fascia di Palazzo Chigi, ne guadagna in media 188mila.
Leggi generose - Il decreto legge 54 del 21 maggio 2013, scritto e voluto proprio da Patroni Griffi, sancisce il principio della "non cumulabilità del trattamento stipendiale" dei ministri che sono anche parlamentari. Cioè: chi ha un seggio da deputato o senatore e si vede anche assegnare la guida di un dicastero, deve scegliere tra la paga di parlamentare (135mila euro) e quella di ministro (63mila). Hanno preferito tutti la prima, più cospicua. C'è però un criterio di cortesia: i ministri non parlamentari, che dovrebbero guadagnare di meno, hanno diritto ad avere un trattamento pari a quello dei colleghi. E così lo stipendio sale per tutti.
Autostima - Ma Patroni Griffi, nel varare il decreto, ha trovato il modo per curare la propria posizione. E' Federico Fubini de la Repubblica a fare i conti in tasca al sottosegretario. Patroni Griffi è ben attento a mantenere in vigore due leggi del 1980 e del 1993, che permettono agli uomini del governo di conservare lo stipendio dell'amministrazione pubblica dalla quale sono distaccati. Il viceministro è presidente di Sezione del consiglio di Stato in congedo da due anni. Come lui, anche Catricalà è presidente di Sezione del Consiglio di Stato (ma non esercita la sua funzione da 12 anni). Ebbene, i due non solo percepiscono regolarmente lo stipendio (e che stipendio: 243mila euro) per un lavoro che, di fatto, non svolgono più, guadagnando pure scatti di anzianità e relativi adeguamenti contrattuali. Ma lo sommano all'emolumento da ministri.
Bravi tutti - Se i ministri, pur in questi anni di austerity e (presunti) tagli ai costi della politica, sono attenti a non ledere eccessivamente il proprio 740, i dirigenti dei palazzi romani si trovano ancora meglio tutelati. I super travet di Palazzo Chigi si sono visti riconosciuti tutti premi di risultato che ne raddoppiano lo stipendio, arrivando a una paga media di 188mila euro con una trentina di superefficienti che superano la soglia dei 200mila euro. Insomma: cento per cento dei funzionari premiati. In Gran Bretagna solo il 25 per cento dei dirigenti pubblici può ottenere il premio di produttività. Ma si sa che la stirpe italica dei travet è molto più brava...

 

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Emergenza sfratti


 


Caritas e Uil: “Urgono misure concrete”

Con l’inverno alle porte l’emergenza casa torna nella sua drammatica urgenza. E Torino torna ad essere la capitale degli sfratti. Sono 4mila le persone che, secondo il ministero dell’Interno, avrebbero perso la propria abitazione nel capoluogo subalpino nel 2012, 6mila secondo il Tribunale, 4mila e 400 quelle che a rischio nell’immediato. Il 10 ottobre l’arcivescovo Cesare Nosiglia ha lanciato un appello a Atc, Comune e Regione perché blocchino gli sfratti in esecuzione almeno fino alla fine dell’inverno. Ma, mentre si avvicina il primo grande freddo, il problema sembra ben lontano dall’essere risolto.
Caritas in aiuto degli sfrattati
Pierluigi Dovis, direttore dell’ufficio diocesano della Caritas di Torino, parla di un «necessario rivolgimento nell’affrontare la questione: privato e pubblico dovrebbero concordare per rendere gli affitti più accessibili. In questo modo si potrebbe pensare ad un turn-over per le case popolari, che verrebbero lasciate a chi è davvero indigente. Ma con gli affitti alle stelle, anche persone che lavorano, guadagnando poco, e devono mantenere una famiglia non hanno altra scelta che gli alloggi Atc. Con la conseguenza che le liste d’attesa si allungano e i senzatetto crescono sempre più».
Dovis, d’accordo in tutto e per tutto con le parole di Nosiglia, afferma che la Caritas si occupa da anni dell’emergenza sfratti, «ma si tratta davvero di una goccia nel mare. Al momento abbiamo a disposizione un alloggio in corso Principe Oddone 22 in cui diamo alloggio a circa 50 famiglie rimaste senza abitazione e in attesa di casa popolare, in più collaboriamo con la fondazione Oberti che contatta i privati riuscendo spesso a rendere più contenuti gli affitti. L’anno scorso la Chiesa ha donato alla città 200mila euro per aiutare i senzatetto, ma sono presto finiti». I numeri parlano chiaro: su una persona che riceve sostegno dalla Caritas ce ne sono circa un centinaio che non ricevono niente «perché mancano materialmente i fondi» dice il direttore dell’ufficio diocesano della Caritas. E le persone fuori dalle graduatorie delle case Atc, o che addirittura che non possono permettersele, vanno ad ingrossare le fila dei senzatetto che girovagano tra strada e dormitori.
Uil, c’è bisogno di azioni concrete
Domenico Paoli, segretario regionale della Uil, pur senza criticare l’affermazione di Nosiglia ribadisce che si tratta di «parole di conforto, mentre c’è bisogno di azioni concrete. Noi, come sindacato, abbiamo lanciato l’allarme sul territorio da tre anni». Secondo Paoli, nell’immediato si potrebbe «prendere vecchi stabili pubblici come vecchie caserme e palazzi del Comune e usarli almeno come alloggi provvisori per l’inverno. Inoltre a Torino ci sono circa 50mila alloggi sfitti: servirebbe un qualche tipo di comunicazione tra pubblico e privato per fare in modo che i proprietari si fidino ad affittare». Il problema, però, secondo il sindacalista va affrontato soprattutto a livello nazionale, «detraendo l’affitto dalla dichiarazione dei redditi, come prima cosa».
Un problema da affrontare subito
Da Uil e Caritas, insomma, vengono parole diverse ma dal significato simile: tappare i buchi va bene, ma il problema va affrontato quanto prima a livello amministrativo, cittadino e nazionale. A questo punto sorge spontanea un’osservazione. È vero che Letta non può fare miracoli, non può costruire case dalla sera alla mattina da dare agli sfrattati, però alle porte dell’inverno può con un decreto legge, visto che non li disdegna, bloccare per un anno almeno tutti gli sfratti in esecuzione. Lo aveva fatto in analoghe circostanze Fanfani, presidente di un governo centrista, sicuramente non influenzato da bolscevichi.

 

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La truffa delle polizze legate ai mutui



Così le banche aggirano la legge

Gli istituti di credito non possono costringere il cliente cui fanno credito a sottoscrivere (carissime) assicurazioni emesse da loro stessi. Ma la realtà è diversa: spesso i metodi usati per ottenere la firma e i soldi sono fin troppo espliciti. Un'inchiesta di Altroconsumo, mentre il Governo fa finta di nulla.

Forse non tutti lo sanno, ma le banche non possono costringere il cliente che sottoscrive un mutuo a comprare anche un assicurazione sugli infortuni messa in vendita dall’istituto medesimo, magari una polizza sulla vita legata al prestito da erogare. Ma tant’è:un’inchiesta dell’associazione Altroconsumomostra che è meglio non fare i preziosi in sede di richiesta di mutuo, che poi la banca si indispettisce. «È obbligatoria la polizza?», chiede un finto cliente a un impiegato di filiale. «Mmmh – è la risposta – Ci sono due correnti di pensiero: ufficialmente devo dire di no, ufficiosamente senza la polizza è difficilissimo riuscire oggi a fare un mutuo».
COMPRA QUI E SUBITO – Accertato che l’assicurazione “ufficiosamente obbligatoria” costa oltre 7mila euro – di cui un terzo è la commissione della banca –, chissà che non si possa almeno selezionarla da una lista con proposte di altre istituti, in nome della concorrenza. «Può scegliersene una sua, sì – è la risposta dello stesso impiegato – Alla banca questa cosa piace, no». Fine della storia. Eppure l’interdizione al cumulo di mutuo e polizza vita esiste ed è stato deciso dall’Isvap, l’Autorità per la vigilanza sulle assicurazioni private, sin dal mese di aprile. A febbraio Giancarlo Giannini, il presidente di questo organismo di controllo, aveva pubblicamente chiesto di inserire anche nel decreto legge sulle liberalizzazioni il divieto «per le banche e gli intermediari finanziari di assumere contemporaneamente la qualifica di distributori delle polizze e beneficiari delle stesse». Il suggerimento venne ignorato dal Governo, lasciando il precetto dell’Isvap solo contro l’arbitrio informale degli istituti di credito.
GIRA CHE TI RIGIRA – Nella versione edulcorata del decreto uscita dal Parlamento, la banca ha l’obbligo di sottoporre al cliente due preventivi di polizza tra quelli di altri istituti. Un dovere minimo e tuttavia frequentemente eluso, secondo quanto si evince dal report di Altroconsumo. E dire che, sempre secondo le parole di Giannini, «gli istituti di credito costringono i clienti alla stipulazione della polizza e applicano commissioni pari in media al 44% dei premi corrisposti, con punte del 79%». Questo tipo di assicurazione garantisce alla banca il pagamento delle rate in caso di morte, di perdita del lavoro e di infortunio del cliente. Non si è mai trattato di un obbligo codificato da qualche parte: l’unico dovere di legge è la garanzia contro incendio e scoppio, per il resto si ha semplicemente a che fare con pratiche radicate. Oggi la situazione è dunque al paradosso: secondo l’Isvap le banche non possono beneficiare delle polizze legate al mutuo da loro stesse concesso; secondo il decreto liberalizzazioni, invece, possono eccome, sempre che sottopongano tre alternative al cliente, tra cui l’assicurazione della casa. Tutto come prima insomma, con l’aggravante della crisi e dei prestiti elargiti col contagocce.
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SFASCIO ITALIA: BENVENUTI.


 Francesca Caprarotta

DI FRANCESCA CAPRAROTTA
Italia, paese di santi, navigatori e poeti. Una volta. Ora è il paese delle contraddizioni.
È passato un mese dalla tragedia lungo le coste di Lampedusa e ancora nessun risultato concreto per la modifica della legge Bossi-Fini.
Le statistiche strillano che la disoccupazione è ai livelli del 1970, ma i nostri ministri hanno etichettato i giovani come bamboccioni e ignorano i cinquantenni disoccupati. La precarietà è un deficit, nemmeno i sindacati ci si spendono. La pensione è un miraggio nel deserto.
Sono passati circa 90 giorni dalla condanna in terzo grado di Silvio Berlusconi ed è ancora un uomo libero, che siede nel nostro Parlamento.
Il risarcimento per la famiglia Cucchi è fissato oltre un milione di euro: la colpa sarebbe stata dai medici. La sorella di Stefano Cucchi, dà ragione alla Ministra Cancellieri, che fa uscire la figlia dell’amico Ligresti dal carcere per anoressia.  Non solo, il Guardasigilli non ha intenzione di dimettersi, non pensa agli altri 70mila circa carcerati che non possono telefonarle?forse pensa al prossimo incarico per suo figlio.
I femminicidi continuano e sono un sottofondo nei tg, insieme ai suicidi per la crisi e per l’omofobia, di cui tutti fanno finta di non sapere. Il razzismo e l’omofobia, in realtà, serpeggiano dentro il nostro Parlamento, basta sentire i discorsi della Lega Nord.
Dopo 16 anni, il segreto viene declassato e tutti sanno quanti barili di rifiuti tossici hanno portato a morti per tumori nel territorio tra Napoli e Caserta. Una vera e propria autodistruzione di massa, operata a fini di lucro.
In Sicilia è emergenza CASA. Su 35mila domande di case popolari, solo 600 sono evase. L’abusivismo è una legittima necessità e gli sfratti una vergogna. Ma né la Regione né lo Stato hanno predisposto interventi.
E dulcis in fundo, i bancari protestano cantando l’inno degli operai a cui hanno messo il cappio al collo: Bella Ciao. Chissà cosa provano nel sapere di potersi ritrovare nei panni di chi si sedeva di fronte al loro sportello.
La sorte ha decretato: “Avanti un altro.” Spero arrivi il turno anche per la casta.

Gli stipendi pubblici non si tagliano, parola di giudici

La Corte Costituzionale ha detto no: il taglio degli stipendi pubblici sopra i 90 mila euro è illegittimo. Una raffinata sentenza per dire che sarebbe come mettere una tassa su alcuni mentre su altri (i privati) no. A noi resta la sensazione che, in questo paese, la revisione della spesa abbia troppi nemici potenti. 

Ma che cosa bisogna fare per tagliare la spesa pubblica e risanare questo Paese? Lo chiediamo ai signori giudici della Corte Costituzionale. I quali hanno appena deciso che sono incostituzionali i tagli agli stipendi dei dirigenti pubblici superiori a 90mila euro, decisi con decreto legge 78 del maggo 2010 (v. sentenza 223 del 2012). Qualcuno se ne ricorda ancora? Era una delle poche decisioni ragionevoli che ogni tanto spuntavano nelle manovre governo Berlusconi: un taglio del 5% per la parte compresa fra 90mila e 150mila euro, e del 10% oltre i 150 mila euro. E invece no: la scelta di tagliare gli stipendi, cosa peraltro fatta in diversi paesi europei, comporta un «irragionevole effetto discriminatorio». Idem per il blocco degli incrementi automatici per i magistrati, per i quali si configurerebbe addirittura una lesione dell’autonomia e indipendenza.
Senza farla troppo lunga con le disquisizioni giuridiche, di cui peraltro siamo men che incompetenti, la cosa viene spiegata così: poiché la riduzione dello stipendio viene imposta, si tratta di tributo, indipendentemente da come viene chiamato. Perciò, limitarlo ai dipendenti pubblici vìola il principio della parità di prelievo a parità di capacità contributiva. Se la riduzione fosse stata estesa a tutti i cittadini con reddito superiore a 90mila euro (= aumento Irpef), non ci sarebbero stati problemi.
Giustizia è fatta? Per i giudici lo Stato deve garantire «il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, il quale, certo, non è indifferente alla realtà economica e finanziaria, ma con altrettanta certezza non può consentire deroghe al principio di uguaglianza». La coerenza giuridica è salva, i conti dello Stato e il senso di equità possono aspettare. La decisione ha tutta l’aria di uno di quei casi in cui la somma giustizia diventa ingiustizia. Nel decidere che il taglio alle retribuzioni di dirigenti pubblici e magistrati è in sostanza un’imposta, con tutto quel che ne consegue, la Corte ha fatto una scelta. Avrebbe potuto farne altre? Di sentenze “innovative”, se non creative, in questi anni ne abbiamo lette tante. Stavolta, evidentemente, nessuno ha pensato che l’«irragionevole effetto discriminatorio» non è nient’altro che l’equivalente delle riduzioni salariali che si vedono nel mondo privato.
Ma forse la Corte immagina un governo che si siede al tavolo con i sindacati e dichiara migliaia e migliaia di esuberi per arrivare magari a un “contratto di solidarietà”: taglio agli stipendi in cambio di una riduzione dell’orario di lavoro dei dipendenti pubblici. Questo sì che sarebbe ragionevole, no? Ma quando la Corte prende una decisione, c’è poco da discutere: la questione si chiude lì. Ora la grana è tutta del governo Monti ma anche dei cittadini, su cui potrebbe ricadere il costo della suprema giustizia della Consulta. A meno che non si trovi il modo di riconfigurare giuridicamente il taglio. A noi resta la senzazione che, in questo paese, la riduzione della spesa pubblica abbia troppi, potenti nemici. Specialmente quando si toccano i “mandarini” dello Stato. Specialmente fin quando la logica (per carità, impeccabile) di difesa dei privilegi continuerà ad andare a braccetto con un apparato pubblico elefantiaco, costoso e incapace di fornire servizi accettabili. Ma tutto questo è legittimo e non discriminatorio: e quindi ragionevole, anche se ci sembra assurdo.
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Gli italiani sono alla fame





Tre milioni di famiglie italiane (il 12,3 % del totale) non riescono più a mangiare adeguatamente.
E questo attribuendo all’adeguatezza il modesto valore di un pasto proteico ogni due giorni. È il dato più drammatico, tra quelli forniti dalla Coop nel suo annuale rapporto sui consumi.
Leggendolo, cade qualunque illusioni sulla gravità della nostra crisi; fornisce il ritratto di un paese che ha smesso d’appartenere al primo mondo. In cui, se il PIL pro capite è tornato ai livelli del 1996, la spesa per l’alimentazione si è contratta del 14%, negli anni tra il 2007 e il 2013, fino a tornare ad essere quella degli anni 60, quando il benessere doveva ancora arrivare per tanta parte delle popolazione. In cui si spendono, per capirci, 2.400 euro l’anno pro capite in alimenti, mentre nel 1971, a prezzi costanti, se ne spendevano 2.600.
Un paese in cui la fame è diventata esperienza quotidiana per il 21% delle persone con più di sessantacinque anni; per il 18,8 delle famiglie residenti nel Mezzogiorno, il 18,3% di quelle che hanno tre o più figli, il 17,7% di quelle monoreddito e il 14,6% di quelle con un solo genitore.
Un tempo si parlava di emarginazione e disagio. Il disagio è diventato dramma e non coinvolge solo frange della società. Non sono alla disperazione, ma rischiano di precipitarvi quattro milioni di famiglie italiane: tante sono quelle che riescono a stare a galla, senza avere però le risorse per far fronte ad una spesa imprevista anche di soli 800 euro. Disperate sono già quelle che invece riescono ancora a mangiare decentemente, ma nulla più; altri due milioni di famiglie il cui reddito non arriva al 40% di quello medio.
In totale sono nove milioni, il 38,5% del totale, quelle considerate in condizioni disagiate. Poche meno, il 29% secondo Eurostat (ma il dato è del 2011) quelle a “rischio di esclusione sociale”.
Un termine improprio, a questo punto, e a suo modo ottimista: in una società dove la fame è diventata normale, la povertà è ormai semplicemente la regola.
Una situazione la crisi finanziaria ha aggravato, ma le cui cause sono vecchie di almeno un trentennio. Un paese che deve trovare il modo di ripartire, avendo sul groppone la zavorra di un debito quasi fuori controllo e con un bilancio dello Stato che assorbe già il 50% del Pil.
Che al centro del nostro dibattito politico vi sia altro è demenziale. Che il nostro ceto politico continui ad essere il meglio pagato al mondo è vergognoso. Che si spenda ancora un miliardo l’anno per permettergli di scorrazzare in auto blu è rivoltante. Sì, da vomito.
E questo non è qualunquismo, grillismo o altro. Solo senso della decenza.
 
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l’esasperazione di un popolo


cala


Ma come si fa a non capire l’esasperazione di un popolo

Alessandra Calabrese | Ma come si fa a non capire l’esasperazione di un popolo frustrato, affamato, umiliato, impoverito, violentato, raggirato… Com’è possibile che giornalisti e politici indaghino su chi approva e chi condanna gli atti di violenza che hanno segnato la manifestazione del 14 a Roma, piuttosto che chiedersi PERCHE’? Perché è la domanda! Perché!!!??? Sembra ovvio, banale e, invece, a quanto pare, non lo è…

Questi burattini senza più cervello, senza più anima, senza più vista né udito, con il loro ditino di rimprovero che fa segno di no, si aspettano che i dimostranti dicano: “Brutti cattivi, non si fa!” oppure: “Non lo facciamo più” e allora tutto è a posto, si può continuare a parlare del nulla…Io ero piccola quando mia madre cercava di spiegarmi così la differenza tra il bene e il male, ma adesso sono grande, e sono grandi anche quelle migliaia persone che l’altro giorno per strada protestavano: noi sappiamo cosa è giusto e cosa è sbagliato, non vogliamo che ci si chieda se si fa! Vogliamo che il governo si chieda PERCHE’…
Quelle che ho visto in questi giorni sono scene di guerra civile! Come si può non capire?!? Manifestanti violenti contro poliziotti innocenti, poliziotti violenti contro manifestanti innocenti. Di sicuro estremisti fuori controllo ma di sicuro infiltrati, perché fa comodo distogliere l’attenzione dalle cause del dissenso, e poi tante persone, ferite nel corpo e nella dignità, che si difendono come possono. Nella bailamme che è scoppiata questa sera ad Anno Zero durante l’intervento del primo studente, è stato perso di vista il punto. Solo per pochi attimi Santoro si è chiesto perché studenti, che fino a quel momento avevano manifestato in modo pacifico, non hanno preso le distanze da quanto stava succedendo, e qualcuno ha rimarcato che le violenze sono scoppiate dopo che la mozione di sfiducia era stata respinta.
E come al solito la risposta è nella domanda…com’è possibile che gruppi di persone che a lungo manifestano pacificamente per affermare i propri diritti, e che in questo dimostrano di credere nei diritti umani e nella democrazia, all’improvviso accolgano come possibile la violenza inutile contro poliziotti che possono essere i loro fratelli, i loro padri, i loro figli? L’unica risposta possibile è l’ESASPERAZIONE e lo conferma il momento in cui sono scoppiati i disordini: il momento in cui tutti si sono resi conto che NON ESISTE NESSUNO CHE CI RAPPRESENTI!!!!!!
Il nostro paese ha raggiunto un tasso di disoccupazione altissimo, questo significa che circa due milioni di famiglie non hanno di che mangiare, non hanno di che vestirsi, non hanno di che pagare casa e bollette. Una verità che troppo spesso viene passata in secondo piano o addirittura ignorata, è che il ceto medio ora non riesce ad arrivare a fine mese: impiegati, dipendenti e anche liberi professionisti, gente rispettabile che ha sempre mantenuto una propria dignità, adesso si trova costretta a fare la fila alla Caritas per sfamare la famiglia! Ma quanto può essere umiliante tutto ciò per chi, onestamente e con fatica, si suda un salario misero e senza valore d’acquisto?
Studiare, leggere, crescere intellettualmente e formarsi per diventare una persona migliore, è diventato un lusso che si possono concedere solo i pochi che ancora possono considerarsi benestanti… Ma chi c’è con gli italiani quando non possono fare la spesa e le dispense sono vuote; chi c’è quando alla fine del mese bisogna pagare l’affitto; chi ci sostiene quando in banca non ci sono i soldi per pagare le bollette, quando i figli hanno bisogno di vestiti decorosi e libri per studiare, quando arriva la retta dell’università o l’iscrizione a scuola? Chi ci aiuta quando per andare a lavorare bisogna prendere l’autobus, o l’auto, e non ci sono i soldi, quando il governo si porta via il 50% di quel poco che ci siamo faticati. Chi aiuta gli anziani che non possono pagarsi le cure necessarie, o i giovani che non possono fare figli (e neppure evitarli perché i preservativi costano troppo). Chi soccorre le famiglie degli operai che perdono il lavoro, dei lavoratori che non vengono pagati per mesi, di quelli costretti a lavorare a nero sottopagati per non morire di fame?
Chi ci ascolta quando tutto è finito, ogni speranza, ogni risorsa, ogni credito, ogni lacrima, ogni sogno, ogni prospettiva… NESSUNO, ecco chi! E continuano a chiedersi se i giovani disapprovano la violenza…
Provate a chiudere una farfalla in una campana di vetro e vedete se non tenta di sfondarla con le pacifiche alette fragili che si ritrova…
…Ma come si fa a non capire l’esasperazione di un popolo frustrato, affamato, umiliato, impoverito, violentato, raggirato…

Corteo a Roma, scontri e paura



bombe carta, roghi e barricate
Scoppia la guerriglia: 15 fermi

No Tav, No Muos, studenti e migranti a Porta Pia anche stanotte
Anonymous oscura i siti di due ministeri, Corte Conti e Cdp

Davanti alla sede di Casa Pound, bottiglie lanciate contro i militanti di estrema destra. NoTav: "Noi determinati, non violenti". Ma poi scocca l'ora degli incappucciati che provano a 'sporcare' il corteo dei 70.000. Decine di cassonetti rovesciati e incendiati


Roma, manifestanti all'attacco dopo aver sradicato un palo (Reuters)
Roma, 19 ottobre 2013 - E' partito alle 15 con oltre un'ora di ritardo da piazza San Giovanni il corteo degli antagonisti per arrivare attorno alle 19 a Porta Pia. E' stata una giornata lunga e pesante.Con momenti di fortissima tensione a causa di 200 incappucciati che hanno provato a sporcare la manifestazione pacifica di decione di migliaia di ragazzi. Ecco la cronaca del pomeriggio in una Roma blindata. Prima della lunga notte in tenda a Porta Pia per i piu' resistenti.
CHI C'ERA - In testa al corteo ci sono i Movimenti per il diritto all’abitazione dietro lo striscione “Contro precarietà e austerità organizziamo la nostra rabbia”. Subito dopo il fronte del No, ovvero le "lotte territoriali": No Tav con appena 50 manifestanti e profilo basso, No Expo, No Muos. In strada anche molti migranti. E tanti bandieroni della sinistra di opposizione.
NUMERI - "Siamo oltre 30mila", è la prima stima degli organizzatori. "E' un numero destinato ad aumentare", aggiungono le stesse fonti. Che poi aumentano la stima: "Siamo 70.000". Per Giorgio Cremaschi, leader della "Rete 28aprile" della Cgil e tra i promotori del movimento anticapitalista "Rossa", "è la più grande manifestazione degli ultimi anni, una vera manifestazione di popolo con tantissimi giovani". Questo, nonostante la polizia abbia fermato numerosi pullman alla barriera di Roma Nord. Al corteo partecipa anche lo scrittore Erri De Luca, iscritto alla lotta dei No Tav.
PREVENZIONE - Intanto si moltiplicano i denunciati dalle forze dell’ordine a Roma. Nella serata di ieri i carabinieri hanno identificato 4 persone in via Santa Croce in Gerusalemme per porto di armi e oggetti atti ad offendere. Sequestrati un coltello, due fionde, una pietra, un moschettone, un passamontagna e una bomboletta spray. Poco più tardi in al casello Roma nord personale del Reparto Prevenzione Crimine della Polizia ha fermato e denunciato 5 persone: avevano segnalazioni a loro carico e nell’autodue caschi, una catena con lucchetto e una mascherina con filtro. Nei loro confronti è stato emesso anche il foglio di via obbligatorio. Anche sulla via Salaria, poco dopo le 5 un equipaggio della Polizia ha intercettato un’altra auto con tre persone a bordo nella quale i poliziotti hanno sequestrato diversi lacrimogeni, petardi, cappucci, bottiglie in vetro guanti occhiali e alcune fibbie. Attualmente sono stati accompagnati negli uffici della Digos per ulteriori accertamenti. In totale sono 14 le persone sottoposte a fermo prima dell'inizio del corteo.
OPZIONE GUERRIGLIA? -  Lungo il percorso del corteo in corso a Roma gli agenti della polizia hanno trovato nascosti sanpietrini e spranghe. Gli oggetti sono stati rimossi e sequestrati mentre continuano le bonifiche delle forze dell'ordine, polizia e carabinieri lungo il tragitto della manifestazione.
SARACINESCHE ABBASSATE - Orafi, ristoranti, agenzie immobiliari: una sequela di saracinesche a terra attende in via Merulana il corteo dei movimenti antagonisti che attraversa la Capitale. A mantenere le porte aperte solo qualche sparuto negozio di alimentari, o di bar-tabacchi, che sperano di sfruttare finché è possibile la massa di persone affluita a Roma. Serranda a mezza altezza per Damiano, titolare di una tabaccheria: "C'è il panico, ho tenuto aperto fino a una mezz'ora fa ma ora chiudo".
RISPOSTA MANIFESTANTI -  I titolari degli esercizi commerciali di via Merulana "hanno sbagliato oggi a chiudere, noi non siamo qui per devastare. Questo è frutto della campagna stampa - viene urlato nei megafoni - che in tutti questi giorni ci ha demonizzato e fatto credere che la manifestazione sarebbe stata un'occasione per devastare. Così invece non è".
PRIMO STEP - Poco dopo le 16 la testa della manifestazione transita a Santa Maria Maggiore mentre la coda si trova ancora a San Giovanni. La piazza continua a riempirsi. Il corteo procede lentamente tra canti, cori, balli. Alcuni petardi sono stati fatti esplodere dai manifestanti in via Poliziano, una traversa di via Merulana.
TENSIONE - Attorno alle 17 le forze dell'ordine avanzano contro gli esponenti di Casa Pound e li fanno arretrare. Gli esponenti di Casa Pound indossano caschi e hanno mazze. Vengono concentrati sotto la sede del loro centro sociale in via Napoleone III. Dal corteo piovono bottiglie contro i militanti di destra e proteste contro la polizia che non fa rientrare i militanti destra nella propria sede.
LOTTA IN RETE - Intanto Anonymous comunica di aver oscurato il sito del ministero delle Infrastrutture e della Corte dei Conti. Poi anche quello della Cassa Depositi e Prestiti e del ministero per lo Sviluppo economico.
BOMBE CARTA - Poco dopo le 17.30 alcuni incappucciati lanciano bombe carta contro i blindati schierati davanti il ministero dell'Economia. Gli agenti si coprono con gli scudi. Le persone vestite di nero hanno cappucci e maschere antigas.Tafferugli e scontri con diverse decine di manifestanti incappucciati, vestiti di nero che, oltre alle bombe carta, lanciano a raffica sanpietrini, fumogeni, bottiglie di vetro contro la sede del ministero e le camionette della Gdf schierate a protezione. Quindici i fermi operati dalle forze dell'ordine. Otto gli agenti feriti, per fortuna in modo lieve.
Tra i fermati anche un giovane di Pesaro
E' GUERRIGLIA - Cassonetti della spazzatura vengono trasformati in barricate. Si appiccano i primi incendi, poi spenti dai vigili del fuoco. Parte una carica di alleggerimento degli agenti, mentre il grosso del corteo continua a sfilare e la testa del serpentone è ormai vicina a Porta Pia. Ma l'azione degli incappucciati taglia la coda del corteo. E c'è pure un blitz in via Boncompagni dove i manifestanti sfasciano una vetrina della finale Unicredit. Ma ormai il grosso dei manifestanti è arrivato a Porta Pia dove viene installata la tendopoli della protesta. Nuova tensione. E la polizia carica. Mentre una bomba carta inesplosa, con un proiettile calibro 12, viene rinvenuta sotto la sede di Trenitalia in piazza della Croce Rossa, a poca distanza dal punto di arrivo del corteo. Gli artificieri della polizia la rendono inoffensiva: se fosse esplosa avrebbe potuto provocare seri danni. Altru due ordigni definiti pericolosi vengono ritrovati nel Quadrilatero dei ministeri e sono fatti brillare.
FALO' STRADALI - Decine di cassonetti rovesciati in strada, al centro della carreggiata, sono incendiati nella zona di Porta Pia. Minacciati giornalisti, strattonato da giovani incappucciati l'operatore di Rainews 24. L'intera zona circostante resta presidiata dalle forze dell'ordine, mentre i manifestanti più duri o motivati si apprestano a tener fede al programma: occupare l'area sino a domattina per ottenere un colloquio al ministero delle Infrastrutture sul dirirro alla casa. E pazienza se domani è domenica.
CENTINAIA SI FERMANO - In diverse centinaia, in gran parte giovani e giovanissime, si sono trattenuti a Porta Pia dopo aver preso parte al corteo. Molti vi trascorreranno anche la notte, nelle numerose tende che sono state montate. La serata scorre fra birra, musica, piccoli spettacoli teatrali.


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Italiani: Leggete attentamente

come si governa un paese…

Il Presidente dell’Uruguay José Alberto Mujica Cordano detto “Pepe” vivere con 800 euro al mese! José Alberto Mujica Cordano è da due anni Presidente dell’Uruguay. Dei 250mila pesos (circa 10 mila euro) del suo stipendio da Capo di Stato, Mujica trattiene per sé soltanto 800 euro, e devolve il resto al fondo per lo sviluppo delle zone più povere del Paese. Dice: «questi soldi, anche se sono pochi, mi devono bastare perché la maggior parte degli uruguaiani vive con molto meno» Questo presidente dell’Uruguay non ha la scorta né un conto in banca è un “nullatenente”. Pepe Mujica è un nullatenente, il cui unico patrimonio è una vecchia Volkswagen Fusca di colore celeste (il nostro Maggiolino). Abita a Rincón del Cerro, nella periferia di Montevideo, in una fattoria tra cavalli, mucche e galline, proprietà della moglie.E quando gli chiedono il motivo di tanta austerità e di questo stipendio da fame, lui non esita a rispondere: «Questi soldi, anche se sono pochi, mi devono bastare perché la maggior parte degli uruguaiani vive con molto meno». Fin dalla sua elezione Pepe Mujica ha chiesto di non avere una scorta e come un’auto presidenziale ha chiesto un’utilitaria, una Chevrolet Corsa che usa solo durante gli incontri ufficiali. La sua unica scorta è Manuela, una bastardina che lo segue ovunque anche tra i marmi del Palacio Legislativo. Al contrario in Italia solo il Quirinale ci costa 624.000 euro al giorno, vale e dire 26mila euro l’ora sborsati dalle tasche degli italiani. Inoltre paghiamo 1.807 dipendenti e un parco auto con tre Maserati. E non solo, i dipendenti godono inoltre di privilegi come l’indennità di alloggio, informatica, di guida, di servizio caccia, di cassa, di incarico, la quattordicesima mensilità e la triplice gratifica annua. Per non parlare poi dei costi dei quasi 1000 Deputati!
Come possiamo pretendere un cambiamento se milioni di italiani, pecoroni, continuano a fare code per sottoscrivere tessere di partiti che ci hanno regalato povertà e la dignità. I nostri Parlamentari si fanno chiamare Onorevoli e di che? VERGOGNA!
Luigi Cipriani

 

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Cara Camera, quanto ci costi…

Cara Camera, nel senso di “quanto ci costi”. La prima tentazione è di dire subito “troppo”, come a voler schiacciare il pulsante di un quiz prima che la domanda sia terminata. Messa da parte la vena populista e demagogica, ci si può basare sui numeri. In base alle tabelle allegate al bilancio della Camera dei deputati (l’aula lo sta esaminando in questi giorni) non c’è una differenza enorme tra le retribuzioni dei dirigenti e quelle dei lavoratori di livello più basso. Ma solo perché la retribuzione della “base” è molto alta.
Risulta allora che il segretario generale – il funzionario più importante della Camera – entra con uno stipendio che supera di poco i 400mila euro lordi annui (più l’indennità di funzione), ma tutto sommato è assimilabile agli amministratori delegati di grandi aziende quando a responsabilità e denaro percepito. A scendere nella scala gerarchica, però, la differenza con gli stipendi “normali”, quelli determinati dal mercato, si avverte moltissimo ed è quasi imbarazzante.
Gli operatori tecnici – compresi i centralinisti, gli elettricisti e i barbieri – all’inizio del loro lavoro ricevono poco più di 30mila euro lordi l’anno. Passati dieci anni superano i 50mila, potendo superare di gran lunga (se vivono abbastanza) i 100mila euro. Lordi, per carità, ma le cifre parlano da sé; quelle di un centralinista, di un elettricista e un barbiere “comuni mortali”, messe a confronto con queste, gridano. E anche quelle di tanti altri italiani, che come reddito medio non arrivano a 20mila euro lordi l’anno.
A Montecitorio poi ci sono oltre 400 assistenti parlamentari (i “commessi”) che – lo nota il Corriere oggi – “guadagnano in media come il direttore di una filiale di banca” pur avendo compiti simili a quelli degli uscieri (tranne quando devono affrontare le bizze di parlamentari burloni o fuori di sé, ovviamente). Ancora meglio va ai consiglieri parlamentari (i funzionari che svolgono attività di studio e ricerca, o di assistenza giuridica), che guadagnano circa come un primario ospedaliero, ma a fine carriera possono andare oltre i 350mila euro annui. A questo poi si aggiungono le indennità che ogni addetto della Camera (anche i cuochi) ha.
Eppure questi numeri oggi sono disponibili (e fanno indignare) perché almeno quest’estate l’amministrazione aveva reso pubblici in rete i dati esatti, che prima erano noti solo a livello di gossip. Quello che accade ancora, per capirsi, al Senato, che forse ha retribuzioni ancora più alte del personale. Ma per ora lo si dice soltanto, non lo si legge a chiare cifre.
Gabriele Maestri
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Altri stipendi d'oro alla Camera.

"Un commesso prende 400mila €"

Lavorare alla Camera conviene. Non solo per i politici. Gli stipendi alti non riguardano, infatti, solo i parlamentari ma anche tutto il personale che ruota attorno a Palazzo Madama e a Montecitorio. E i guadagni di commessi, elettricisti e centralinisti, soprattutto in tempo di crisi, appaiono imbarazzanti. Cifre da capogiro. Uno schiaffo alla recessione. A rendere noti i dati è “United for a fair economy”, un’organizzazione di Boston nata per contrastare le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza.
Un elettricista di Montecitorio per esempio prende 136.000 euro l'anno, più di tre volte un elettricista qualunque. Un commesso, invece, percepisce 60.000 euro di stipendio 'base', ma può arrivare anche a prendere 400.000 euro l'anno.
camera
Gli operatori tecnici, categoria nella quale rientrano i centralinisti, gli elettricisti e pure il barbiere di Montecitorio, vengono assunti con uno stipendio che supera di poco i 30 mila euro lordi l’anno, come riporta il Corriere della Sera. Ma già dopo 10 anni la loro busta paga è quasi raddoppiata, superando quota 50 mila, e a fine carriera può arrivare a 136 mila euro l’anno. Tradotto: un elettricista, un centralinista e un barbiere della Camera, anche se a fine carriera, messi insieme guadagnano quanto il segretario generale, che è pur sempre a capo di 1.500 persone.

Napolitano? Ci costa 13 milioni. Ecco la classifica dei politici più cari - Giorgio Napolitano, Francesco Colucci (Pdl), Pier Ferdinando Casini, Altero Matteoli, Anna Finocchiaro, Umberto Bossi, Maurizio Sacconi, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Carlo Giovanardi sono questi, secondo la classifica stilata da il Fatto Quotidiano, i 10 politici che sono costati di più ai contribuenti italiani, essendo i più longevi nel Parlamento e nelle istituzioni.
Una classifica che, fino a qualche mese fa, avrebbe visto in testa con ampio vantaggio Giulio Andreotti, deputato dalla prima legislatura (1948) e parlamentare per ben 65 anni. Ora a guidarla c’è invece Giorgio Napolitano: 60 anni fra Parlamento, governo e presidenza della Repubblica. Entrato alla Camera dei deputati nel 1953, è stato – se si eccettua la IV legislatura, 1963, in cui fu nominato segretario del Pci di Napoli – deputato, ministro, presidente della Camera, parlamentare europeo, senatore a vita e presidente della repubblica. Se questi sessant’anni di vita politica gli fossero stati pagati con lo stipendio di un attuale deputato (228 mila euro annui), calcola Il Fatto, Napolitano sarebbe costato 13,6 milioni di euro. Ben lontani sono gli altri componenti della classifica, con all'attivo "solo" fra i 21 e i 34 anni di assidua frequentazione delle "poltrone". Ma ecco questo ci costano:

 

 

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