Come è nata questa
espressione
e in che senso
l'evangelizzazione è nuova
Giustamente è stato detto che
"nuova evangelizzazione" — o, meglio, "evangelizzazione nuova" — è ormai la
formula tipica dell'attuale pontificato, significativamente iniziato con
l'esortazione a non temere di spalancare le porte a Cristo, perché solo Lui
fonda e tutela l'umanesimo integrale.
È il Papa stesso a ricordare
quelle parole, undici anni dopo, nella Christifideles laici (n. 34). Certamente,
la formula "nuova evangelizzazione" era allora all'inizio del suo cammino e andò
sviluppandosi progressivamente, con l'incalzare degli eventi più disparati.
Attraverso di essi infatti, letti come provvidenziali "segni dei tempi",
Giovanni Paolo II ha individuato non solo le varie coordinate di quella formula,
ma anche l'interno articolarsi di esse.
In ogni caso, nuova
evangelizzazione è una formula che, meglio di altre — per esempio
l'"aggiornamento" di Giovanni XXIII o la "civiltà dell'amore" di Paolo VI (che
peraltro ingloba) —, mette subito a fuoco quale dev'essere la risposta della
Chiesa alle sfide del terzo millennio ormai alle porte. Una formula, peraltro,
che sviluppa nella continuità tanto l'ispirazione originaria del Vaticano II —
la quale si proponeva di "mettere in contatto con le energie vivificanti del
Vangelo il mondo moderno" (cfr costituzione apostolica d'indizione, Humanae
salutis) —, quanto la sua ricezione nella fase postconciliare, culminata nella
Evangelii nuntiandi di Paolo VI. In breve, una formula che, nella pienezza
dell'articolazione cui è ormai pervenuta, intende rilanciare quell'eredità a
livello personale e comunitario, teorico e pratico.
Nuova evangelizzazione, piuttosto
che rievangelizzazione — come talvolta si dice —, per indicare che la svolta
epocale in atto richiede di annunciare con nuovo slancio e ricorrendo a nuove
espressioni, metodiche o strategie, il messaggio di sempre: Gesù Cristo e la sua
Buona Notizia, infatti, sono la risposta alla crisi dell'uomo contemporaneo,
suggestionato dall'onnipotenza tecnocratica, ma in balìa del nichilismo
etico–spirituale, invano attenuato dai miraggi delle sètte e dei nuovi movimenti
religiosi. Dire rievangelizzazione significherebbe alludere soltanto a qualche
ritocco accidentale o alla semplice correzione delle imperfezioni umane. Nuova
evangelizzazione significa, invece, collaudare forme teoriche e pratiche nuove,
per "annunciare" efficacemente il kerygma di sempre nel mutato contesto
socioculturale. Quindi, non ricominciare da zero, bensì edificare, con necessari
assestamenti e ristrutturazioni della realtà precedente, un altro piano sopra
quelli esistenti. Perciò una evangelizzazione nuova sia nel fervore dei
protagonisti, sia nelle mediazioni culturali e nelle strategie pastorali.
Innegabilmente, quindi,
ripetiamolo, l'urgenza di tale evangelizzazione nasce dal fatto che l'umanità
oggi sta vivendo una impressionante "svolta epocale" che, già intuita dalla
Gaudium et spes (n. 54), si è molto accelerata dopo il crollo dei muri (fine del
socialismo reale), la crisi del razionalismo illuminista (fine della modernità)
e l'avvento ormai inarrestabile del villaggio globale (fine dell'eurocentrismo).
E come alle precedenti "svolte" e relative "sfide" — leggiamo nella Redemptoris
missio (n. 30) — "la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha risposto con generosità e
lungimiranza", trovando nuove inculturazioni della fede e adeguate metodiche
pastorali, così oggi deve affrontare con non minore generosità le nuove sfide,
"proiettandosi verso nuove frontiere".
Non basta quindi ritoccare
superficialmente l'opera evangelizzatrice, né migliorare tatticamente i vari
ambiti della pastorale: viene richiesta una strategia globalmente nuova, che non
solo investa le varie componenti personali e le realtà strutturali della Chiesa,
ma che si cali anche nelle più diverse situazioni o circostanze, tanto in Europa
quanto nel resto del mondo. E, se è vero che tale formula risuonò la prima volta
nel primo viaggio apostolico del Papa in Polonia, il 9 giugno 1979 — quando,
innalzando la nuova croce di legno a Nowa Huta, disse "è iniziata una nuova
evangelizzazione" —, non va dimenticato che nel discorso alla III Conferenza
generale dell'episcopato latinoamericano, significativamente impegnata a
tradurre la Evangelii nuntiandi in America Latina (Puebla, 28 gennaio 1979),
Giovanni Paolo II, invocando Maria, stella della prima evangelizzazione, domandò
a tutti un nuovo impulso evangelizzatore.
Da allora, l'accelerazione fu
crescente e l'articolazione dei fattori sempre più organica, tanto in Europa
quanto in America Latina. Così alla XIX Assemblea del CELAM (Port–au–Prince
[Haiti], 9 marzo 1983), annunciando la preparazione della IV Conferenza generale
(Santo Domingo, 1992), nel quinto centenario della prima evangelizzazione di
quel continente, il Papa chiese a tutti — vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli
laici — un "impegno di evangelizzazione nuova. Nuova nel suo ardore, nei suoi
metodi, nelle sue espressioni". A Santo Domingo poi, il 12 ottobre 1984,
inaugurando la "novena di anni" in preparazione (spirituale e di studio) alla IV Conferenza,
Giovanni Paolo II ribadì che quell'evento chiamava tutti "a una nuova
evangelizzazione che dispieghi con maggior vigore — come quella delle origini —
un potenziale di santità, un grande impulso missionario, una vasta creatività
catechetica, una manifestazione feconda di collegialità e comunione, un
combattimento evangelico per dare dignità all'uomo, per generare [...] un grande
futuro di speranza" (indicando, come obiettivo, "la civiltà dell'amore" e, come
mezzo, una nuova "cultura cristiana": un tema fortemente ripreso poi a Santo
Domingo, nel 1992).
E poiché gli interventi che
riguardano la nuova evangelizzazione sono rivolti sia al Vecchio sia al Nuovo
Mondo, è significativo richiamare, dopo le indicazioni riguardanti l'America
Latina, quelle che Giovanni Paolo II ha dato parallelamente all'Europa. Per
esempio, al V Simposio del Consiglio delle Conferenze episcopali europee
(5 ottobre 1982), il Papa insistette sulla priorità dell'autoevangelizzazione
per rispondere alle sfide dell'uomo d'oggi, perché solo una Chiesa evangelizzata
può evangelizzare e, conseguentemente, realizzare la promozione umana integrale.
Mentre al VI Simposio (11 ottobre 1985) ricordava che la sfida odierna — dare
un'anima al mondo secolarista — richiedeva tanto un aumento di santità (memori
che i grandi evangelizzatori del continente furono i santi), quanto un ritorno
ai primissimi modelli apostolici (coniugando il metodo di Pietro a Pentecoste
con quello di Paolo all'Areopago di Atene). Da allora non si contano più le
indicazioni contenute sia nei pronunciamenti durante i viaggi apostolici, sia
nelle esortazioni apostoliche postsinodali (Christifideles laici e Pastores dabo
vobis), sia nelle encicliche (Centesimus annus e Veritatis Splendor).
Un rilievo a parte meritano
comunque le indicazioni pontificie legate agli ultimi eventi europei e
latinoamericani. Per il Vecchio Mondo ci basterà ricordare i mutamenti del 1989,
cui seguirono i programmatici discorsi sia del 22 aprile — quando Giovanni
Paolo II a Velehrad, in Moravia, indisse un'Assemblea speciale del Sinodo dei
vescovi per ritrovare le radici cristiane dell'Europa — sia dell'ottobre, in
apertura e chiusura di questo Sinodo (cfr B. Testa [ed.], La nuova
evangelizzazione dell'Europa nel magistero di Giovanni Paolo II, Bologna, Studio
Domenicano, 1991, e A Spezzibottiani [ed.], Europa. Un magistero tra storia e
profezia, Casale Monferrato [AL], Piemme, 1991). Per l'America Latina, invece,
emblematiche restano le acquisizioni maturate durante l'iter preparatorio e la
celebrazione della IV Conferenza generale su "Nuova evangelizzazione, promozione
umana, cultura cristiana" (Santo Domingo, ottobre 1992): cfr A. Palmese – P. Vanzan
[edd.], Da Puebla a Santo Domingo, Ed. Dehoniane, Roma 1992 e I documenti di
Santo Domingo. Vangelo e cultura della vita, Leumann [TO], LDC, 1993). Senza
dimenticare che, nell'aprile–maggio 1994, nel concerto del bipolarismo
Europa–America Latina si è inserita l'originale variante del continente nero, la
cui Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi ha cercato nuovi metodi e
inculturazioni (di liturgia, catechesi, pastorale familiare, ecc.) per
realizzare la nuova evangelizzazione africana (cfr Civ. Catt. 1994 II 381–390,
485–493 e 582–591). Sulla base di queste indicazioni possiamo ora descrivere le
coordinate principali di tale nuova evangelizzazione che, facendo perno sul
Documento Final (DF) di Santo Domingo, riassumeremo come segue: è nuova per il
fervore, per le strutture, per le espressioni, per i metodi, per le finalità.
Evangelizzazione nuova nel fervore
La novità sta anzitutto nel fervore, ossia
nella santità: vocazione di tutti i battezzati e anima di ogni apostolato.
Perciò Cristo stesso "ci chiama a rinnovare il nostro ardore apostolico. Per
questo invia il suo Spirito" (DF, n. 28): per infiammare anche oggi, come a
Pentecoste, il cuore della Chiesa. "L'ardore apostolico della nuova
evangelizzazione scaturisce da una radicale conformazione a Gesù, il primo
evangelizzatore". Ciò postula sia una fede matura, che abilita a leggere e
valutare tutte le cose secondo il pensiero di Cristo, sia una fede motivata
attraverso un serio e constante aggiornamento: una fede coerente e impegnata,
che si traduce in operatività apostolica coraggiosa e non priva di fantasia
creatrice. Questo fervore, poi, dev'essere non solo personale, ma anche
comunitario; ossia deve coinvolgere tanto i singoli protagonisti — sacerdoti,
laici e religiosi (le tre grandi componenti del popolo di Dio), quanto le
diverse comunità, specialmente intensificando le "mutue relazioni" a tutti i
livelli, come richiesto dalla vocazione universale alla santità (Lumen gentium,
cap. 5).
Da parte sua l'Instrumentum
laboris "sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo", in
vista della IX Assemblea sinodale dell'ottobre 1994, ribadisce (n. 95) quale
debba essere l'apporto specifico della vita religiosa oggi, proprio in vista di
una nuova evangelizzazione. Ricordato che la vita religiosa appartiene
intrinsecamente alla santità della Chiesa — sicché i religiosi la
incrementeranno proprio vivendo e annunziando Cristo senza riduzionismi —, si
ribadisce che la nuova evangelizzazione deve "formare persone e comunità mature
nella fede e nell'amore, dove i valori del Vangelo siano vissuto con
radicalismo". Il che richiede, prosegue citando la Evangelii nuntiandi
(n. 12 s), "una revisione della qualità della testimonianza personale e
comunitaria, in modo che si possa avere una nuova evangelizzazione che sappia
riproporre in termini convincenti all'uomo odierno il messaggio perenne della
salvezza".
Perciò nella Redemptoris missio
(n. 90 s) leggiamo che il migliore evangelizzatore è il santo – ossia l'uomo
tanto delle beatitudini quanto della comunione e partecipazione —, mentre, nella
stessa ottica, il DF di Santo Domingo (n. 31 s) richiama il "primato della
santità" e, ai numeri seguenti, i mezzi per conseguirla. In breve,
l'evangelizzazione sarà nuova se e nella misura in cui ogni componente
ecclesiale sarà al meglio se stessa e realizzerà la migliore interazione con
tutte le altre, evitando di rinchiudersi nei ghetti (come in qualche movimento)
o di procedere in ordine sparso (come nella pastorale improvvisata). Perciò il
nuovo fervore richiede uno sforzo generoso di ciascuno e a tutti i livelli, così
da realizzare nei fatti la pregnanza etimologica della "sinodalità" (affettiva
ed effettiva) indicata dal sun (=con: convegno, concilio): maggior fervore,
quindi, nel con-venire, con-vergere e con-laborare di ciascuno e tutti, e ad
ogni livello.
I protagonisti della nuova
evangelizzazione perciò sono tutti i battezzati, e non solo i preti o le
religiose. Si tratta quindi i un protagonismo globalmente ecclesiale, che
coinvolge tutti i cristiani — presbiteri, laici e religiosi —, anche se con
ruoli e in situazioni non omologabili. Perciò nella Christifideles laici
(n. 34), descrivendo la molteplice e specifica articolazione del protagonismo
laicale, il Papa ne sottolinea l'obiettivo comune: "La nuova evangelizzazione è
destinata a formare comunità ecclesiali mature, nelle quali cioè la fede
sprigioni tutto il suo originario significato di adesione alla persona di Cristo
e al suo Vangelo, di incontro e di comunione sacramentale con Lui, di esistenza
vissuta nella carità e nel servizio". Rivolto invece ai presbiteri scrive: "Il
prioritario compito pastorale della nuova evangelizzazione, che riguarda tutto
il popolo di Dio e postula un nuovo ardore, nuovi metodi e una nuova espressione
per l'annuncio e la testimonianza del Vangelo, esige sacerdoti radicalmente
immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita
pastorale, segnato dalla profonda comunione con il Papa, i vescovi e tra di
loro, e da una feconda collaborazione con i fedeli laici, nel rispetto della
promozione dei diversi ruoli, carismi e ministeri all'interno della comunità
ecclesiale" (Pastores dabo vobis, n. 18).
Perciò è importante approfondire
l'ecclesiologia pneumatologica e trinitaria del Vaticano II, proprio in ordine
alla nuova evangelizzazione che ogni battezzato e i rispettivi stati di vita
dovrebbero realizzare in osmosi con gli altri. A questo proposito bisogna
ricordare due fondamentali principi, anche rivisitando i tria munera
(sacerdotale, profetico e regale) di ciascun battezzato: il principio di
reciprocità (tra le persone) e quello di sussidiarietà (tra le funzioni).
Secondo tali principi, nessun cristiano (e relativo stato di vita) può
realizzarsi né attuare la propria funzione se non in rapporto con gli altri e le
rispettive funzioni nella Chiesa: l'uno, infatti, si attua di fronte e in
rapporto con l'altro. I capp. II e III della Pastores dabo vobis sono
particolarmente felici nel descrivere tanto la santità e le funzioni proprie dei
presbiteri e dei fedeli laici, quanto la reciproca immanenza — quasi sul modello
della perikoresis trinitaria — che si dà tra il sacerdozio ministeriale e quello
comune, sottolineando che il primo non è sopra ma davanti e in funzione del
secondo. In caso contrario, i due sacerdozi sarebbero pensati in termini di
subordinazione e non di mutue relazioni, e l'ordinazione sacerdotale farebbe del
prete non un "servo dei servi di Dio" ma un supercristiano (cfr H. De Lubac,
Meditazioni sulla Chiesa, Milano, Jaca Book, 1979, 89).
La nuova evangelizzazione perciò
richiede più che mai una reciproca collaborazione. E come non tutti possono fare
tutto — ma ciascuno deve fare la sua parte e interagire meglio che può con
l'altro —, cosi ogni stato di vita (con relativi doni, ministeri e tria munera)
non può operare senza gli altri. Si pensi alla triplice rifrazione del munus
sacerdotale, profetico e regale nei presbiteri, nei fedeli laici e nei
religiosi. In tal senso la Christifideles laici (n. 55) afferma: "Nella
Chiesa–comunione gli stati di vita sono tra loro cosi collegati da essere
ordinati l'uno all'altro". La nuova evangelizzazione richiede quindi il
coinvolgimenti di tutti, ma valorizzando i carismi e ministeri di ognuno. Anche
se innegabilmente, come è stato sottolineato al Sinodo dei vescovi del 1987,
questa è l'ora dei laici: non solo perché essi rappresentano il 997 per mille
del popolo di Dio, ma anche perché e soprattutto compete "all'indole secolare
della loro vocazione" realizzare il "già e non ancora" del Regno nel mondo.
Ossia, mettendo il sale e il lievito di Cristo nelle realtà create (famiglia,
cultura, economia, politica, arte), essi le sottraggono alla vanificazione del
peccato e "le ordinano secondo Dio" (Lumen gentium, n. 31). Il problema cruciale
della nuova evangelizzazione riguarda quindi anche il ruolo del laicato e il
modo nel quale fargli prendere coscienza del suo protagonismo, tanto nella
Chiesa quanto nel mondo. Questo è il compito specifico dei presbiteri e dei
religiosi: intensificare la formazione dei laici e coordinarne le tante forze
nella pastorale d'insieme, specie attraverso il "laboratorio" del Consiglio
pastorale.
Evangelizzazione nuova nelle strutture
Ancora, l'evangelizzazione deve essere
"nuova" per le strutture: ossia per il modo nuovo di impostare tanto le
strutture territoriali o "stabili", come le parrocchie, quanto le strutture più
recenti o "mobili", come i gruppi e movimenti; senza dimenticare quelle che
potremmo dire "trasversali": non solo perché attingono da entrambe le
precedenti, ma anche perché le servono indiscriminatamente (pensiamo alla scuola
cattolica, i cui allievi provengono sia da varie parrocchie, sia da gruppi e
movimenti, o alle opere socioassistenziali che, analogamente, servono
trasversalmente parrocchie e movimenti). Recentemente, poi, si è fatta strada la
tematica delle "unità pastorali", ossia del come fronteggiare la scarsità dei
presbiteri che, via via, sguarnisce le parrocchie più piccole. Qui ci basterà
ricordare che le microparrocchie italiane (con meno di 500 abitanti) sono oltre
il 35 % del totale (6.873 su 25.542), mentre da un sondaggio effettuato in 143
diocesi risulta che 3.284 parrocchie (pari al 17,2 % del totale) non hanno
parroco residente. Mentre finora si affida la parrocchia scoperta al parroco
viciniore (che finisce per curare due o più parrocchie), il nuovo orientamento
vorrebbe affidare in solidum varie parrocchie — in uno stesso bacino — a due o
più sacerdoti, che formerebbero una comunità presbiterale al centro del bacino e
di cui uno sarebbe il moderatore (cfr CIC, can. 717, e gli atti del Convegno:
Unità pastorali, Roma, Ed. Dehoniane, 1993).
Non mancano certo altre ipotesi e
proposte — diaconi permanenti, valorizzazione di comunità religiose femminili,
ecc. —, ma l'importante è avvertire sempre più e meglio che si tradisce la nuova
evangelizzazione abbandonando quelle microparrocchie o ricorrendo a uno
stressante quanto poco fruttuoso "viaggio eucaristico domenicale a tappe
forzate" del parroco vicino.
Ritornando alla parrocchia media
e tradizionale — che resta tuttavia una struttura indispensabile, benché da sola
non possa affrontare la crescente mole di problemi che sfidano la Chiesa oggi —,
per la nuova evangelizzazione ricordiamo almeno tre direzioni lungo le quali
muoversi:
a.Anzitutto vanno realizzate
innovazioni nelle stesse realtà parrocchiali esistenti, specie quelle urbane,
macroscopiche e anonime, grazie, ad esempio, alle Comunità Ecclesiali di Base (CEB).
Grazie cioè a un decentramento che favorisca sia l'annuncio (kerygma) pure ai
lontani, sia la nascita di comunità a misura d'uomo redento (koinonia). Perciò,
dopo un'adeguata fase kerygmatica, nei singoli nuclei si celebra pure
l'Eucaristia, fons et culmen della vita cristiana; ma l'unità parrocchiale non è
affatto minacciata, data la "comunione di comunità" intesa dal modello
ecclesiologico qui soggiacente e che trova periodiche verifiche attraverso il
confluire delle CEB nella parrocchia madre. Sull'argomento cfr DF, nn. 58–63 e
102. b.L'altra direzione in cui urge muoversi è quella del Consiglio Pastorale,
considerato non solo una "cerniera" tra le diverse realtà ecclesiali, ma quasi
come laboratorio teorico della nuova pastorale d'insieme e prima forma operativa
concreta della mutua collaborazione tra i battezzati presenti sul territorio.
Anzitutto in questo luogo teologico–pastorale si deve verificare
(etimologicamente) l'effettiva e affettiva sinodalità, dalla quale far scaturire
la nuova osmosi (e non concorrenza) tra le realtà ecclesiali più incentrate
sulla parrocchia (territorio) e quelle più mobili o trasversali (gruppi,
movimenti, scuola cattolica, ecc.) c.Veniamo così ai gruppi e movimenti, senza
dubbio tra le "novità" più significative della Chiesa odierna (cfr
Christifideles laici, n. 29), anche perché in essi troviamo molte forme
dell'auspicato nuovo protagonismo laicale. Infatti, se "molti luoghi e forme di
presenza e di azione sono oggi necessari per recare la Parola di vita all'uomo
contemporaneo, e molte altre funzioni d'irradiamento religioso e di apostolati
di ambiente — nel campo socioculturale, educativo, professionale, ecc. — non
possono avere come centro e punti di partenza la parrocchia", allora questa
situazione diventa un'opportunità provvidenziale perché essa "adatti le sue
strutture, dando spazio alle piccole CEB, operando una ben intesa comunione e
collaborazione con le altre forme di presenza ecclesiale ed evangelizzatrice"
(ivi, n. 26 s). Ma questo suppone che tutti intendano collaborare seriamente,
anche rinunciando a essere i primi della classe.
Evangelizzazione nuova nelle espressioni
In terzo luogo, la nuova evangelizzazione
si qualifica tale per le espressioni, ossia perché "Cristo stesso ci chiede di
proclamare la Buona Notizia con un linguaggio che renda il Vangelo di sempre più
vicino alle odierne nuove realtà culturali. [...] Occorre cercare le nuove
espressioni che consentano di evangelizzare gli ambienti caratterizzati dalla
cultura urbana e di inculturare il Vangelo nelle nuove forme della cultura che
si sta imponendo" (DF, n. 30). Al n. 255 si parla di "città postindustriale, che
non rappresenta soltanto una variante dell'habitat umano tradizionale", ma
produce "un tipo umano diverso: consumista, di cultura audiovisiva, anonimo e
sradicato". C'è qui sottesa la vexata quaestio circa il passaggio dall'epoca
fondata su parola e concetto a quella fondata su immagine e contesto (cfr DF, nn. 29
e 279). E quando mutano i fondamenti di una cultura, cambiano anche la mentalità
e i relativi modi di esprimere la nuova cultura: non è più la realtà che,
attraverso i suoi modi di presentarsi, si fa conoscere per quello che è, ma è
"il ciò che appare" (della realtà) che viene preso per realtà. Di conseguenza, i
mass media stanno generando una nuova "civiltà", in cui si esige tanto una nuova
forma mentis, quanto nuove forme di linguaggio e di mediazione per comunicare.
Analoghe considerazioni vanno
fatte per la teologia, ma qui va sottolineato che le espressioni non possono
limitarsi all'ortodossia: esse devono tradursi pure nella prassi. Per esempio
c'è da rinnovare la reciprocità "evangelizzazione–promozione umana" attraverso
nuove proposte culturali e traduzioni pratiche anche in ambito sociopolitico:
memori che la dottrina sociale della Chiesa non solo è "un capitolo della
teologia", ma anche uno "strumento di evangelizzazione" (Centesimus annus,
n. 54 s). Sicché l'incontro tra Chiesa postconciliare e mondo postmoderno può
avvenire, sulla frontiera delle priorità etiche, ribadendo che nella centralità
dell'uomo la Chiesa individua la possibilità di convergenza tra credenti e non
credenti. In questo modo, la nuova evangelizzazione attua quanto raccomandava il
Concilio riguardo al dialogo sia ecumenico (tra cristiani separati), sia con le
altre grandi religioni, sia infine, ma non ultimo, con tutti gli uomini di retto
sentire e buona volontà. Questo multiforme dialogo, infatti, "non esclude
nessuno: né quelli che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne
riconoscano la sorgente, né quelli che si oppongono alla Chiesa e la
perseguitano in diverse maniere" (Gaudium et spes, nn. 92 e 21).
Perciò, avendo scelto come via
privilegiata la riconciliazione e il dialogo, la compagnia e la solidarietà, la
nuova evangelizzazione si rapporta tanto alle varie forme assunte dalle realtà
ecclesiali quanto all'ambiente socioeconomico, culturale e politico odierno con
atteggiamenti costruttivi. Essa rifugge infatti dalla polemica astiosa e dallo
scontro a tutti i costi, ma questo non significa rinunciare alla propria
identità né tradire gli ultimi, non denunciando i mali sociali, le carenze e
inadempienze di quanti sono preposti al bene comune, le prevaricazione
dell'illegalità. Ugualmente non significa condannare in blocco la modernità,
bensì operare un discernimento alla ricerca di tutto quanto è positivo (buono,
vero, giusto) e che, riprendendo la tradizione patristica, la nuova
evangelizzazione valorizza come semina Verbi (cfr DF, nn. 17, 138 e 245).
Evangelizzazione nuova nei metodi
Passando poi ai metodi della nuova
evangelizzazione, Santo Domingo ricorda che "non possono mancare la
testimonianza e l'incontro personale, la presenza del cristiano in tutto ciò che
inerisce all'umano, come pure la fiducia nell'annuncio salvatore di Gesù e
nell'azione dello Spirito. Occorre impiegare, sotto l'azione dello Spirito
creatore, l'immaginazione e la creatività, affinché il Vangelo giunga a tutti,
in maniera pedagogica e convincente". In breve, "è necessario utilizzare tutti
quei metodi che consentano al Vangelo di arrivare al centro della persona e
della società" (DF, n. 29). Di qui le tante metodologie presenti sul campo e
variamente riconducibili alle diverse indicazioni pontificie, successivamente
formulate in Europa, America Latina o nel resto del mondo. E se prima abbiamo
trattato delle modalità nuove dell'annuncio (kerygma), che inculturano la Buona
Notizia secondo le categorie e le sensibilità di oggi, adesso la questione
riguarda le metodologie operative (pastorali in senso lato). In proposito non va
dimenticato che, soprattutto nell'applicazione di questi metodi, emerge qualche
conflittualità tra i loro promotori, col rischio di elidere a vicenda
potenzialità altrimenti sussidiarie e che potrebbero utilmente ben integrarsi.
Limitandoci a uno sguardo
d'insieme europeo (cfr E. Franchini – O. Cattani [edd.], Nuova evangelizzazione:
la discussione e le proposte, Bologna, EDB, 1991) presentiamo i vari metodi:
a.Una prima forma è rappresentata
dal metodo dialogale che, ispirandosi all'ecclesiologia della cosiddetta Lettera
a Diogneto, vede la Chiesa come sale e lievito: inserita nel mondo con una
presenza critico–escatologica (il sale infatti non deve perdere il sapore),
essa, nel rispetto dell'Incarnazione, è chiamata a vivere un atteggiamento di
simpatia, più che di rottura o diffidenza, nei confronti del mondo. Riconoscendo
che questo è già abitato dallo Spirito (cfr i ricordati semina Verbi), tale
metodo attua una convivenza rispettosa e un dialogo franco, prudente e non
ingenuo, ma sempre costruttivo. b.Un secondo metodo è quello catecumenale,
incentrato sulla riscoperta dell'antica prassi cristiana: l'iniziazione per
gradi, cui vanno sottoposti da capo un po' tutti i cristiani, stante il fatto
che nell'Europa di fine millennio molto ridotta è la percentuale di quelli che
vivono il loro battesimo. Tale cammino ricorre a una catechesi biblico–liturgica
articolata in tappe progressive, funzionali a una conversione (metanoia) sempre
maggiore, frutto dell'annuncio (kerygma) che sfocia nella comunità redenta (koinonia)
e missionaria pentecostale (dal Cenacolo al mondo intero). Nonostante qualche
eccesso o rischio, è innegabile che questo modello, vissuto con grande slancio
missionario dai suoi adepti e fortemente centrato sulla morte–risurrezione di
Gesù, raggiunge molti lontani e incalza pure la Chiesa tradizionale a mettersi
"in stato di missione". c.Un terzo tipo è quello carismatico, o di rinnovamento
nello Spirito, che recupera la pneumatologia orientale e, con un po’ di enfasi
sul "battesimo nello Spirito", valorizza pure le altre sue manifestazioni
elencate in 1 Cor 12 (glossolalia, guarigioni, ecc.). Anche in questo modello la
convinzione di partenza è che l'evangelizzazione dei tempi passati non abbia
fruttificato in pienezza, sicché urge ridestare nei credenti una vita spirituale
matura e ricca attraverso un nuovo contatto con lo Spirito che è in loro e al
quale solo compete rinnovare i prodigi della Pentecoste. Nuova evangelizzazione,
allora, significa proclamare sine glossa un Vangelo efficace e visibile, con
"segni e prodigi", riconoscendo la cosiddetta "presenza empirica" dello Spirito
nella vita di preghiera, innanzitutto, ma poi anche nella missione efficace qual
è sgorgata dall'effusione dello Spirito nel Cenacolo (Atti 2). d.Un altro metodo
è quello dell'investimento etico–sociale, che punta risolutamente tanto alle
questioni sociopolitiche quanto alla transizione epocale in atto, memore che
dappertutto è all'opera il Risorto e che non solo nell'intimità dal cuore, ma
anche (e per qualcuno: soprattutto) in questi ambiti si costruisce il Regno.
Basta quindi con il silenzio e la timidezza, anche quella che vuole essere
"testimonianza silenziosa", altrimenti mai costruiremo il Regno per il quale
preghiamo quotidianamente. Partendo dalla verità che solo Dio può dare la
salvezza, e non il mondo segnato dall'ingiustizia e dall'oppressione, la
risposta consiste nel proclamare il "fatto cristiano", l'"avvenimento per
eccellenza", che si attua "nella Chiesa–per il mondo–a gloria di Dio". Per
questo "la Chiesa è movimento" nella storia, e questo lo esprime il fatto del
suo "nascere dal basso", là dove sbocciano carismi e ministeri de facto (per
opera dello Spirito Santo), che vengono poi compaginati nell'unità e nella
comunione del primato romano. Tale Chiesa–movimento non può dunque ricondursi al
principio episcopale né al clerocentrismo dei modelli passati. Questa nuova
evangelizzazione deve quindi sfuggire all'uniformità diocesana e restare libera
nel suo tentativo d'inventare un nuovo tipo di presenza nella società globale,
con una forte valorizzazione del laicato cristiano nel mondo. In base alla
riscoperta dottrina sociale della Chiesa, questo metodo intende perciò
ricostruire un nuovo ordine sociale, grazie a una nuova sintesi tra fede e
cultura, Chiesa e società, purché non si esasperi unilateralmente uno dei due
elementi delle endiadi accennate, col pericolo di rendere vano l'annuncio di
fede.
L'elenco potrebbe continuare, ma è
sufficiente per cogliere le ricchezze esistenti (con uno sguardo alle
integrazioni tattiche, possibili anche nei tempi brevi) e per orientarle verso
le prospettive strategiche, ossia i "poli e valori" fondamentali della nuova
evangelizzazione: cosicché, pur nel rispetto delle varie identità, personali e
di gruppo, la strategia della mutua collaborazione possa concertare azione
kerygmatica e pastorale d'insieme.
La finalità della nuova evangelizzazione
Quanto abbiamo esaminato ci introduce
nell'ultima ma fondamentale coordinata della nuova evangelizzazione: la sua
finalità. La nuova evangelizzazione, infatti è tale perché ha come fine
l'annuncio della morte e risurrezione di Gesù, dal quale discende, tra l'altro,
la necessità di "riscoprire e far riscoprire la dignità inviolabile di ogni
persona umana". In proposito, nella Christifideles laici (n. 37), Giovanni Paolo
II ricorda che:
a."la dignità personale è il bene
più prezioso che l'uomo possiede, grazie al quale egli trascende in valore tutto
il mondo naturale", e ciò non per una vaga consistenza etico–filosofica, ma per
l'ineffabile fondazione teologica che segue; b.la dignità umana infatti, qual è
annunciata dalla Rivelazione, manifesta tutto il suo fulgore quando ne
consideriamo "l'origine e la destinazione: creato da Dio "a sua immagine e
somiglianza", redento dal sangue preziosissimo di Cristo, l'uomo è chiamato a
essere "figlio nel Figlio", "tempio vivo dello Spirito", e destinato all'eterna
vita di comunione beatificante con Dio"; c.perciò l'uomo "è sempre un valore in
sé e per sé", e come tale deve essere trattato: mai quindi "come un oggetto
utilizzabile, uno strumento, una cosa". Inoltre tale dignità personale
costituisce "il fondamento sia dell'uguaglianza di tutti gli uomini, sia della
partecipazione e della solidarietà tra di loro: il dialogo e la comunione si
radicano ultimamente in ciò che gli uomini "sono", prima e più ancora che su
quanto essi "hanno"".
Certamente, queste grandi linee
dell'annuncio sono il Vangelo di sempre, ma la nuova evangelizzazione deve
farsene carico in modo nuovo, vista la crescente minaccia della
spersonalizzazione. Perciò dappertutto e incisivamente la Chiesa deve annunciare
la verità rivoluzionaria della Buona Notizia della morte e risurrezione di Gesù:
una delle sue principali conseguenze è che la persona umana è unica e
irripetibile, ossia assolutamente indisponibile tanto allo schiacciamento
brutale del collettivismo, quanto all'eterodirezione, più soffice in apparenza
ma ugualmente spersonalizzante, dell'individualismo telecratico. La persona —
come è rivelata dalla verità cristiana — non è un anonimo ingranaggio del
sistema, né un più o meno felice consumatore, bensì "consorte della natura
divina", per l'incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria. Una verità
"troppo bella per essere vera"? Oppure così bella perché vera? Ma allora la
nuova evangelizzazione deve coniugare in modo nuovo verità e amore, proprio
ricordando quanto il Papa disse al Convegno ecclesiale italiano (Loreto 1985):
"Mentre nell'epoca moderna l'affermazione della verità, per note ragioni
storiche, è stata spesso considerata un ostacolo alla pacifica convivenza, quasi
che potesse essere fondata soltanto su basi relativistiche, e mentre le
ideologie effettivamente dividono e contrappongono gli uomini, la verità di
Cristo domanda di essere realizzata nell'amore, per condurre in tal modo alla
fraternità. Nella sua essenza profonda essa è, infatti, manifestazione
dell'amore, e solo nella concreta testimonianza dell'amore può trovare la sua
piena credibilità".
Senza dimenticare, infine, la
correlazione tra verità e morale che il Papa, nella Veritatis Splendor,
ribadisce essere parte integrante della nuova evangelizzazione. Proprio le
insidie contenute nell'accennato relativismo — anche quando si camuffa nella
"libertà assoluta, sorgente di valori" o nella cosiddetta "etica della
situazione" — esigono che "la nuova evangelizzazione comporti anche l'annuncio
della proposta morale", che solo nel fulgore della verità può salvare l'uomo.
Infatti, Gesù stesso, proprio annunciando il Regno, ha rivolto l'appello alla
fede e alla conversione", sicché la vita morale buona diventa "riflesso della
bontà stessa di Dio" (cfr Veritatis Splendor, nn. 32, 65 e 107 s).
Nessun commento:
Posta un commento