martedì 19 novembre 2013

“Troppo vecchi troppo giovani

"quarantenni in troppola"

 

Sono “vecchi”, considerati poco produttivi, spesso troppo preparati per le mansioni che vengono richieste. Ma sono anche troppo giovani per andare in pensione. Sono in una trappola. Ormai oltre il 60 per cento dei disoccupati in aumento tra un trimestre e l’altro, per colpa di una interminabile recessione, fa parte della categoria di chi ha superato i 35 anni di età. Più della metà dei nuovi disoccupati tra il 2011 e il 2012 aveva tra i 30 e i 49 anni. La disoccupazione ha i capelli grigi. E poca rappresentanza, perché una volta usciti dal circuito lavoro-cassa integrazione- mobilità anche il sindacato non si vede più. Vivono in silenzio, tra rancori, risentimenti, vergogna. Vivono nell’ombra. Vivono di lavoretti, ripiegano aprendo una partita Iva: lavoro autonomo o indipendente. Sulla carta. Diventano soci lavoratori di cooperative fittizie. Un circuito infernale dal quale pochi riescono ad uscire: dal 2008, anno di inizio di questa Grande Crisi, al 2011 le persone in cerca di occupazione da più di dodici mesi sono cresciute di quasi 700 mila, raggiungendo il 53 per cento del totale contro una media Ue del 44,4 per cento. Gli ammortizzatori sociali tutelano solo il 27 per cento di chi non ha il lavoro. L’età per accedere ad una pensione si è impennata vertiginosamente. Nel paese deiprepensionamentiecheancora paga le baby pensioni, però. Vivono discriminati: il 65 per cento degli annunci di ricerca di personale (anche quelli di istituzioni pubbliche) fissa un limite anagrafico, in barba alle regole europee contro la discriminazione. «Per tirare un po’ avanti, vendo la mia collezione di trenini su ebay», racconta Claudio Prassino, cinquantenne di Busto Garolfo, a meno di quaranta chilometri da Milano. «O rinuncio alla mia passione, o muoio. Così prendo tempo, in attesa di trovare qualcosa». La sua storia comincia in un lanificio diBiella.Poiinizialacrisi.C’entra la concorrenza cinese ma anche la miopia di tanti piccoli imprenditori nostrani. Nel 2001 si sposa e si trasferisce a Como, assunto a tempo indeterminato, sempre nel tessile. Ma l’azienda fallisce: i due padroni svuotano i “castelletti”. Anziché accettare la cassa integrazione, Claudio decide di diventare una partita Iva. «Mi mangio ancora le mani per non aver fatto come tutti: andare in cassa integrazione senza cercare un nuovo lavoro. Invece io mi vergognavo di aver perso il lavoro. Non sarebbe stato da me chiedere i soldi in prestito ai genitori. Non stava né in cielo né in terra una cosa del genere». E allora, partita Iva, compensi a provvigione, margini strettissimi, obiettivi impossibili. Contratti a tempo che non si rinnovano. Nel 2011 chiude la partita Iva(«pagavoquasiil60percentodi tasse»). L’iscrizione al Centro per l’impiego di Legnano. La frustrazione di avere dall’altra parte dello sportello persone che sostanzialmente non possono e non sanno aiutarti. La ricollocazione è il grande buco nero dei nostri servizi per l’impiego: oltre il 90 per cento di chi trova un lavoro lo fa attraverso la rete informale delle conoscenze familiari. «Ti propongono di imparare a usare il pc o l’inglese. Ma io conosco entrambi! E poi: se segui un corso non cerchi il lavoro. Anche per essere preso da una ditta di pulizie ti chiedono un’esperienza di due o tre anni. Ma se non cominci mai come fai ad avere esperienza?». Tanti lavoretti a 3-4 euronettiall’ora.«Leaziendehanno timore di assumere un lavoratore maturo. È vero che è già formato, maconsideranoungiovane molto più duttile». Lavoratori giovani e lavoratori maturi: gli uni contro gli altri, senza volerlo. Così un gruppo di quindici quarantenni, insieme all’associazione Atdal over 40, ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia europea del Lussemburgo. Contro lo Stato italiano perché con la riforma delle pensioni dell’ex ministro Fornero e l’innalzamento dell’età pensionabile ha provocato «una gravissima situazione di discriminazione a danno di un consistente numero di cittadini in età matura disoccupati e privi di qualsiasi sostegno al reddito». E anche per il «mancato controllo e repressione delle offerte di lavoro pubbliche e private contenenti la discriminazione della barriera dell’età anagrafica ». Scrive Stefano, sociologo della provincia di Roma, uno dei ricorrenti: «Le decine di curriculum inviati ogni settimana di norma non ottengono nessuna risposta

Roberta Mania

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