“Troppo vecchi troppo giovani
"quarantenni in troppola"
Sono “vecchi”, considerati poco produttivi, spesso troppo preparati per
le mansioni che vengono richieste. Ma sono anche troppo giovani per
andare in pensione. Sono in una trappola. Ormai oltre il 60 per cento
dei disoccupati in aumento tra un trimestre e l’altro, per colpa di una
interminabile recessione, fa parte della categoria di chi ha superato i
35 anni di età. Più della metà dei nuovi disoccupati tra il 2011 e il
2012 aveva tra i 30 e i 49 anni. La disoccupazione ha i capelli grigi. E
poca rappresentanza, perché una volta usciti dal circuito lavoro-cassa
integrazione- mobilità anche il sindacato non si vede più. Vivono in
silenzio, tra rancori, risentimenti, vergogna. Vivono nell’ombra. Vivono
di lavoretti, ripiegano aprendo una partita Iva: lavoro autonomo o
indipendente. Sulla carta. Diventano soci lavoratori di cooperative
fittizie. Un circuito infernale dal quale pochi riescono ad uscire: dal
2008, anno di inizio di questa Grande Crisi, al 2011 le persone in cerca
di occupazione da più di dodici mesi sono cresciute di quasi 700 mila,
raggiungendo il 53 per cento del totale contro una media Ue del 44,4 per
cento. Gli ammortizzatori sociali tutelano solo il 27 per cento di chi
non ha il lavoro. L’età per accedere ad una pensione si è impennata
vertiginosamente. Nel paese deiprepensionamentiecheancora paga le baby
pensioni, però. Vivono discriminati: il 65 per cento degli annunci di
ricerca di personale (anche quelli di istituzioni pubbliche) fissa un
limite anagrafico, in barba alle regole europee contro la
discriminazione. «Per tirare un po’ avanti, vendo la mia collezione di
trenini su ebay», racconta Claudio Prassino, cinquantenne di Busto
Garolfo, a meno di quaranta chilometri da Milano. «O rinuncio alla mia
passione, o muoio. Così prendo tempo, in attesa di trovare qualcosa». La
sua storia comincia in un lanificio diBiella.Poiinizialacrisi.C’entra
la concorrenza cinese ma anche la miopia di tanti piccoli imprenditori
nostrani. Nel 2001 si sposa e si trasferisce a Como, assunto a tempo
indeterminato, sempre nel tessile. Ma l’azienda fallisce: i due padroni
svuotano i “castelletti”. Anziché accettare la cassa integrazione,
Claudio decide di diventare una partita Iva. «Mi mangio ancora le mani
per non aver fatto come tutti: andare in cassa integrazione senza
cercare un nuovo lavoro. Invece io mi vergognavo di aver perso il
lavoro. Non sarebbe stato da me chiedere i soldi in prestito ai
genitori. Non stava né in cielo né in terra una cosa del genere». E
allora, partita Iva, compensi a provvigione, margini strettissimi,
obiettivi impossibili. Contratti a tempo che non si rinnovano. Nel 2011
chiude la partita Iva(«pagavoquasiil60percentodi tasse»). L’iscrizione
al Centro per l’impiego di Legnano. La frustrazione di avere dall’altra
parte dello sportello persone che sostanzialmente non possono e non
sanno aiutarti. La ricollocazione è il grande buco nero dei nostri
servizi per l’impiego: oltre il 90 per cento di chi trova un lavoro lo
fa attraverso la rete informale delle conoscenze familiari. «Ti
propongono di imparare a usare il pc o l’inglese. Ma io conosco
entrambi! E poi: se segui un corso non cerchi il lavoro. Anche per
essere preso da una ditta di pulizie ti chiedono un’esperienza di due o
tre anni. Ma se non cominci mai come fai ad avere esperienza?». Tanti
lavoretti a 3-4 euronettiall’ora.«Leaziendehanno timore di assumere un
lavoratore maturo. È vero che è già formato, maconsideranoungiovane
molto più duttile». Lavoratori giovani e lavoratori maturi: gli uni
contro gli altri, senza volerlo. Così un gruppo di quindici quarantenni,
insieme all’associazione Atdal over 40, ha fatto ricorso alla Corte di
Giustizia europea del Lussemburgo. Contro lo Stato italiano perché con
la riforma delle pensioni dell’ex ministro Fornero e l’innalzamento
dell’età pensionabile ha provocato «una gravissima situazione di
discriminazione a danno di un consistente numero di cittadini in età
matura disoccupati e privi di qualsiasi sostegno al reddito». E anche
per il «mancato controllo e repressione delle offerte di lavoro
pubbliche e private contenenti la discriminazione della barriera
dell’età anagrafica ». Scrive Stefano, sociologo della provincia di
Roma, uno dei ricorrenti: «Le decine di curriculum inviati ogni
settimana di norma non ottengono nessuna risposta
Roberta Mania
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