mercoledì 20 novembre 2013

governo

Tirare a campare

di ANDREA CANGINI

 Tornano dunque le vecchie formule della Prima repubblica, quando la politica era forte ma i governi deboli: «Verifica di governo», «cabina di regia», «patto di coalizione»... Incalzato da un Pdl col fiato corto a causa delle traversie giudiziarie di Berlusconi e quasi sfiduciato dal segretario in pectore del Pd, Enrico Letta, può solo tentare l’azzardo del rilancio. Convocare dunque i partiti della maggioranza, prospettargli un piano di riforme economiche che consenta al governo di arrivare al 2015 e metterli così di fronte alle proprie responsabilità.
Basterà? È ragionevole immaginare che quel che non fu fatto all’inizio della legislatura sia possibile oggi? Difficile. Anche perché il quadro politico s’è deteriorato al pari di quello economico. Come regolarmente accade da qualche anno a questa parte, le previsioni del governo su deficit e Pil si sono rivelate clamorosamente sbagliate per eccesso e la nota di aggiornamento del Def (la vecchia «Finanziaria») prevede che per ciascuno degli anni 2014-2017 l’economia italiana crescerà di mezzo punto percentuale in più rispetto a quanto stimato invece dal Fondo monetario internazionale. Insomma, per quanto il governo possa essere ottimista ed indulgente con se stesso, i nodi tendono a venire inesorabilmente al pettine.
Trovare risorse per finanziare le riforme sarà perciò sempre più difficile, e fare scelte impopolari addirittura impossibile. Mancano le condizioni politiche. Anche perché — rispetto allo scorso aprile, quando si formò il governo — oggi i leader e gli aspiranti tali di Pdl, Pd e Scelta civica sono totalmente assorbiti da una feroce guerra per la (propria) sopravvivenza politica. Insomma, hanno altro a cui pensare e le loro debolezze si riflettono su un governo già debole di suo. Ad oggi, la politica economica si è risolta in un patchwork di bandierine di partito cucite tra loro con un filo di ipocrisia. Nulla di organico né di strategico. Ed è proprio per questo che la matrigna Europa ci sta col fiato sul collo e mai ci consentirà di sforare il famigerato 3% del rapporto deficit-Pil come invece fu concesso sia alla Germania sia alla Francia. Per ottenere ‘credito’ dalla Commissione europea dovremmo dimostrarci un po’ tedeschi: compatti e determinati nel realizzare un programma ambizioso di riforme strutturali. Siamo invece italiani, e dunque perfettamente a nostro agio nell’eterna incertezza tra una crisi politica incombente e il consueto tirare a campare.

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