Un Paese che conviene ai politici, ai sindacalisti e alla finanza globale. E che non ha nulla da dare a giovani, precari, disoccupati e laureati. Un "leisure country" perfetto per le vacanze: offre buona cucina e divertimento, e persino l'atmosfera giusta per coltivare lo spirito. Ma guai a voler studiare, investire in attività produttive o, peggio ancora, lavorare. Dall'indagine "A chi conviene l'Italia?", elaborata dal Club dell'Economia in collaborazione con il Censis, emergono tutta l'amarezza e il disincanto degli italiani.

E anche lo scetticismo sulle prospettive di ripresa: alla domanda "Riusciremo ad uscire dalla stagnazione?" il 49,3% risponde di no, il 50,7% invece è fiducioso. Ma se poi si guarda alla distribuzione per età, si vede che a dire "ce la faremo" sono soprattutto due fasce ben distinte: i giovani con meno di 34 anni (il "sì" arriva al 62%) e gli ultrasessantacinquenni (64% di fiduciosi). "Gli anziani sono i più sicuri e i più ricchi, i giovani hanno la speranza - osserva il direttore del Censis Giuseppe Roma - Per tutti gli altri domina l'incertezza. Lo dimostra che a non spendere non sono solo le famiglie con problemi economici, neanche chi ha i soldi consuma".

Ma accanto all'incertezza c'è una ribellione interiore, un rancore verso chi si è appropriato del Paese, traendone ogni possibile convenienza, ma trascurando ogni forma di interesse generale. Uno scontro impari tra il 90% della popolazione e il 10% di una classe dirigente decisamente trasversale, osserva l'economista Mario Baldassarri, e quindi eternamente al potere, qualunque sia lo schieramento politico al governo, "centrodestra, centrosinistra o tecnico". "I soliti noti", li chiama il Censis.

Ad avere una certa convenienza ancora a vivere nel BelPaese, emerge dall'indagine, sono anche gli immigrati, "i cinque milioni di stranieri che oggi vivono e operano nel nostro Paese" trovandovi diverse opportunità d'impiego. Il punteggio di professionisti, lavoratori autonomi e imprese è meno della metà (3,8%) rispetto all'8,9% attribuito ai politici.

Solo una piccola minoranza ritiene che l'Italia sia un Paese adatto a studiare (7%), investire (5,7%) e lavorare (5,2%). Tra i fattori che influenzano negativamente la situazione del Paese, al di là dell'onnipotenza di una classe dirigente "pigliatutto", ci sono l'invecchiamento della popolazione, che minaccia la sostenibilità del welfare (16,7%) e toglie spazio ai giovani, l'instabilità politica (15,3%), la burocrazia che rende impossibile lavorare (14,2%).

Gli italiani hanno ancora fiducia solo nelle eccellenze strutturali del Paese: il patrimonio culturale (31,3%), il brand (24,3%), le reti di solidarietà (11,8%). Mentre finisce in basso alla classifica la patrimonializzazione delle famiglie (2,4%): "Il nostro patrimonio non viene più percepito come una sicurezza alle nostre spalle, anche perché si sta esaurendo", osserva Giuseppe Roma.

Alla domanda sulle prospettive del  Paese, l'Italia si spacca in due. La maggiore percentuale di pessimisti si concentra nella fascia d'età 35-44 anni (57%), probabilmente perché si tratta di persone non più giovani ma in molti casi lontane dall'aver raggiunto una stabilità economica e lavorativa. Eppure non bisognerebbe essere così pessimisti, osserva il ministro del Lavoro Enrico Giovannini: "Non deve passare il messaggio che nulla cambia, altrimenti anche dall'estero continueranno a guardarci come un Paese dove nulla cambia". L'Italia non è così immobile come sembra a chi ha perso la fiducia in un futuro decente, assicura Giovannini: "Ogni trimestre si fanno mezzo milione di contratti a tempo indeterminato, 1,7 milioni a tempo determinato e 70.000 di apprendistato".

A chi chiede maggiore flessibilità, le associazioni imprenditoriali, sostanzialmente, il ministro replica che l'Italia offre una protezione molto bassa a chi perde il lavoro, e quindi, semmai, "il sistema va cambiato nel suo complesso". E propone tre diverse ricette per rafforzare la fiducia e la coesione sociale nel Paese: maggiori investimenti sui giovani (non solo pubblici, ma anche da parte delle imprese), un impegno personale dei manager per abbattere il peso della burocrazia ("le norme non bastano") e un sostegno concreto, ("non sto parlando di una social card") per i cinque milioni di poveri "assoluti" che vivono in Italia, misure per uscire dalla marginalità (sanità, scuola, inserimento lavorativo). Un progetto "per non lasciare nessuno indietro", che sarebbe anche un contributo formidabile per riportare la fiducia nel Paese e uscire dalla crisi.

L'indagine "A chi conviene l'Italia" è stata presentata all'Abi, in occasione del Premio Ezio Tarantelli per la migliore idea dell'anno 2012 in economia e finanza, assegnato all'ex ministro del Lavoro Elsa Fornero. La rilevazione si basa su un campione statistico nazionale di 1.146 utenti (47,8% uomini, 52,2% donne), suddiviso per età, titolo di studio, e macroregioni.